sabato 29 ottobre 2016

Il Sole 29.10.16
Perché la Russia forte «piace» anche alla Nato
Sovrastimare Mosca aiuta a rilanciare le spese militari
di Gianandrea Gaiani

Il linguaggio della Nato e soprattutto dei suoi “principali azionisti” anglo-americani ricorda quello dei primi anni 80 quando le tensioni con il Blocco Sovietico erano alle stelle a causa dell’invasione russa dell’Afghanistan e dei missili balistici a medio raggio schierati in Europa.
Ci sono mappe fatte circolare dalla Nato in cui si indicano le direttrici d’invasione delle Repubbliche Baltiche da parte delle divisioni russe: ipotesi probabile quanto un’invasione degli alieni, ma funzionale a soffiare sul fuoco della rinnovata minaccia sul “fronte orientale”, come il linguaggio della Nato ha cominciato a chiamare con toni bellici quell’area geografica da dopo lo scoppio della crisi in Ucraina.
Se a Mosca non mancano i toni patriottici esasperati e si tornano a effettuare esercitazioni di protezione civile degne dell’epoca in cui l’olocausto nucleare non era un’ipotesi così remota, Washington e Londra stanno gonfiando le capacità militari russe con il chiaro obiettivo di rilanciare la spesa militare, nazionale e dei partner della Nato che, dopo anni di calo costante, torna oggi a crescere sull’onda della rinnovata minaccia di Mosca.
Così la flotta di 8 navi russe che dal Mare Artico dirige verso le acque siriane guidata dalla portaerei Kuznetsov viene dipinta come una poderosa minaccia al punto che la Nato ha indotto Madrid a ritirare il permesso di sosta per rifornimento nel porto spagnolo di Ceuta, sulla costa marocchina, da anni frequentati dalle navi militari russe in transito. Ridicolo però ingigantire le capacità della vecchia e piena di acciacchi Kuznetsov, unica portaerei di Mosca con a bordo una ventina di cacciabombardieri, quando solo gli Usa schierano 10 portaerei ben più grandi e capaci dell’unità russa più 9 portaelicotteri impiegabili come “piccole portaerei”.
La gran parte delle navi da guerra russe, pur se rimodernate, risalgono all’era sovietica e se è vero che Mosca sta investendo risorse nel rinnovo delle sue forze militari non si può ignorare che le spese militari russe restano intorno ai 100 miliardi di dollari annui, pari a un sesto degli Usa e a un nono della Nato nel suo complesso.
Anche l’allarme per le 2 corvette Buyan armate di missili da crociera Kalibr entrate nel Baltico è stato presentato dalla Nato come una nuova minaccia diretta ai Paesi della regione quando fin dall’avvio della costruzione di queste nuove navi tre esemplari erano stati assegnati alla flotta del Baltico. Inoltre tutte le navi da combattimento statunitensi imbarcano missili da crociera, incluse quelle schierate a ridosso della Russia.
Il nuovo missile balistico intercontinentale russo RS-28, mostrato in fotografia pochi giorni or sono, sostituirà gli SS-18 in servizio dal 1975 rinnovando un arsenale nucleare ormai decrepito con un’arma dal grande potere distruttivo grazie alle sue testate atomiche multiple (fino a 16) ma soprattutto in grado sulla carta di sfuggire ai sistemi di intercettazione statunitensi con l’obiettivo di mantenere il principio di deterrenza che per 70 anni ha impedito che la guerra fredda diventasse “calda”.
Certo Mosca non esita a mostrare muscoli e bandiera anche in modo aggressivo ma non può sfuggire il fatto che, dall’Ucraina alla Siria, sta giocando in difesa cercando di sostenere i suoi alleati e mantenere le sue prerogative strategiche assumendo il controllo della Crimea le cui basi militari sono necessarie a sostenere la proiezione di forze nel Mediterraneo e nell’Oceano Indiano. Come sosteneva nel 1997 Zbigniew Brzezinski (consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Usa Jimmy Carter), senza l’Ucraina nella sua orbita d’influenza la Russia cessa di essere una potenza euroasiatica. Negli ultimi anni è stata la Nato ad allargarsi verso i confini russi non la Russia ad espandersi a Occidente e le richieste di entrare nell’alleanza formulate da Ucraina e Georgia come le possibili adesioni di Finlandia e Svezia (militarmente sempre più integrate con la Nato) non possono che rafforzare la “sindrome d’accerchiamento” del Cremlino.
Lo “scudo antimissile” schierato dagli Usa in Polonia e Romania ha evidentemente poco a che fare con una minaccia missilistica iraniana oggi più che mai anacronistica ma i suoi radar possono esplorare in profondità lo spazio aereo di Mosca e i suoi lanciatori possono impiegare non solo vettori antimissile ma anche ben più offensivi missili da crociera.
Per questo lo schieramento dei missili balistici a medio raggio Iskander nell’enclave russa di Kaliningrad non può essere considerata una iniziativa aggressiva ma solo una risposta allo “scudo” in un’ottica di deterrenza.
L’intervento in Siria ha un duplice ruolo difensivo: proteggere un alleato che da anni consente alla flotta russa di avere la sua unica base nel Mediterraneo e impedire che il trionfo dei jihadisti a Damasco consenta di aumentare la pressione dell’eversione islamica nel Caucaso russo.
Per questo è paradossale vedere Usa ed Europa censurare pesantemente Mosca perché fa la guerra a milizie jihadiste tra le quali vi sono qaedisti e Isis che dovrebbero essere considerate nemiche anche dall’Occidente e ben più intensamente attaccate dalla blanda coalizione a guida statunitense presente in Iraq e Siria.
In questo ambito suscita qualche perplessità l’accusa di provocare vittime civili ad Aleppo formulata dai partner della Nato che dalla Serbia all’Iraq, dall’Afghanistan all’attuale guerra all’Isis hanno provocato e provocano con aerei e droni migliaia di “danni collaterali”.