Repubblica 28.10.16
In fuga dalla Giungla rasa al suolo le ronde per la caccia ai profughi
Dopo
lo sgombero della grande bidonville, sono centinaia i migranti che
hanno rifiutato il trasferimento in nuove strutture E almeno trecento i
bambini stranieri non registrati dalle autorità
di Omero Ciai
CALAIS.
Li chiamano “Squats” - occupanti - è adesso sono il nuovo incubo di
Calais. Sono alcune centinaia di migranti che non hanno aderito al
trasferimento da “la Jungle” e si sono allontanati dal campo per
disperdersi nella regione intorno alla cittadina francese. Un gruppetto è
stato intercettato ieri mattina dagli agenti della polizia nei giardini
dietro il palazzo del Comune. Ma a Calais si parla di molti altri che
possono essere andati a nascondersi nei boschi o nelle aree industriali
lungo il litorale della Manica perché temevano di essere espulsi se si
fossero fatti registrare.
Per la sindaca di Calais, Natacha
Bouchard, esponente della destra repubblicana vicina a Sarkozy, quella
degli “Squats” è la principale emergenza adesso che l’area della grande
bidonville dei migranti è stata in gran parte sgomberata. E per questo
la polizia locale ha organizzato le ronde. Per ora vi partecipano sei
pattuglie che perlustrano il territorio, aprono i capannoni industriali,
cercano nelle case abbandonate disperse nella vasta periferia di Calais
e in altri piccoli borghi. Ma la polizia ha chiesto anche la
collaborazione attiva della popolazione: «Segnalateci qualsiasi
sospetto», è l’appello ripetuto sui mass media.
Philippe, un
commerciante sulla cinquantina, grosso, pelato ma con baffoni bianchi e
occhiali, è d’accordo con la sindaca e attacca il prefetto, Fabienne
Buccio, che dopo gli incendi di mercoledì sera e il trasferimento di
quasi seimila migranti suddivisi in circa 280 centri d’accoglienza in
tutto il Paese, ha dato per finalizzate «brillantemente» le operazioni.
«Qui non è finito proprio niente», dice Philippe. «Che fine hanno fatto
quelli che non sono voluti partire e che loro, quelli del governo, hanno
lasciato che si disperdessero in questa zona? ». Philippe, che dice di
essere solo un simpatizzante del Fronte Nazionale di Marine Le Pen, non
andò a Parigi quando molti dei suoi amici fecero una manifestazione per
chiedere la fine della Giungla. Ma era solidale. Com’era solidale quando
i camionisti, appoggiati da molti agricoltori e dai lavoratori del
porto, organizzarono “l’operatiòn escargot”, operazione lumaca, con i
Tir che si muovevano lentissimi per protesta lungo l’autostrada. E se
fosse necessario oggi parteciperebbe anche alle ronde, “le patrouille
anti migrants” - dicono qui -. Ma è anche meglio che se ne occupi la
polizia, aggiunge. «Il problema - conclude - è finirla con questa
anarchia, con le bidonville dei migranti che vogliono andare in Gran
Bretagna qui a Calais. E che ogni volta che vengono sradicate, rinascono
un po’ più in là».
«D’altra parte - come spiega Jean, un
impiegato del porto - quello che dovrebbe ormai essere chiaro è che è
assolutamente inutile arrivare fin qui per andare clandestinamente
dall’altra parte del tunnel». Perché tutti - o quasi tutti - i Tir che
attraversano la Manica, passano dentro uno scanner che individua la
presenza di clandestini a bordo. Per questo la Giungla continuava a
ingrossarsi di migranti di tutte le nazionalità che attendevano mesi
un’opportunità per raggiungere la Gran Bretagna.
Però dev’esserci
qualcosa che non torna se è tutta vera la storia di un curdo iracheno di
23 anni, Saladin Muhamad, raccontata da La voix du nord. Saladin, che
si è autopromosso come «il miglior scassinatore di serrature dei
camion», guidava nella Giungla una piccola banda che in cambio di mille
dollari a persona consentiva ai migranti di nascondersi nei Tir.
Arrestato, è stato condannato a tre anni l’altro ieri.
È vero però
che negli ultimi mesi, soprattutto dopo Brexit, i controlli si sono
molto rafforzati. Londra ha anche finanziato la costruzione di un nuovo
muro di cemento alto quattro metri e lungo un chilometro sull’autostrada
proprio sopra l’aerea della Giungla, che si unisce a quello in ferro e
cavalli di frisia che arriva fino al porto. Sotto, quasi a perdita
d’occhio, si vede quel che resta della bidonville dopo le fiamme. Molti
detriti, numerose roulotte ancora integre e alcune decine di migranti
rimasti sul posto. Che il problema dei cosiddetti “squats” sia serio, lo
ha confermato anche uno di quelli che a Calais non ha voltato le spalle
ai migranti, il segretario dell’Auberge des Migrants, una
organizzazione umanitaria di primo soccorso. «Adesso quelli che sono
rimasti sono molto discreti ma noi sappiamo che ci sono». Poi, denuncia,
che almeno 300 minorenni non sono stati registrati e non sono potuti
entrare nel centro d’accoglienza. Mentre un’altra grande incognita
riguarda quelli che sono partiti, prima dell’inizio dello sgombero,
verso Parigi e Bruxelles.
A meno di un chilometro dalla sabbia
della Giungla, su un angolo della strada, c’è il “Café des Dunes”,
ritrovo favorito questa settimana di tutti i giornalisti giunti fin qui
per seguire lo sgombero dei migranti. Ieri non c’era più nessuno. Solo i
clienti abituali. “La Jungle c’est fini”, titola il giornale appoggiato
su un tavolo mentre un vecchietto dubbioso commenta: «Chissà se
torneranno mai i tempi in cui su quelle dune d’estate ci andavamo a fare
il bagno».