Quando la fantapolitica ha il profilo di Trump
Arriva in Italia “Da noi non può succedere”, il romanzo di
Sinclair Lewis che nel 1936 immaginava l’avvento negli Usa di un regime
parafascista
di Federico Rampini
Ci voleva un grande conservatore per osare pronunciare
quella parola. Il fascismo in America? A spezzare il tabù è stato Robert Kagan,
già consigliere di George W. Bush, “neocon” esperto di geopolitica, autore
della celebre metafora su «gli americani che vengono da Marte, gli europei da
Venere». In un editoriale-shock sul “Washington Post”, il 18 maggio 2016 Kagan
ha messo da parte cautele verbali, circonvoluzioni e inibizioni
dell’intellighenzia.
Il titolo è stato come un pugno nello stomaco: Ecco come il
fascismo arriva in America.
Il portatore della peste nera, Kagan non aveva dubbi, si
chiama Donald Trump. L’intellettuale di destra in quell’intervento drammatico
non risparmiava le accuse ai suoi compagni di partito: «Lo sforzo dei
repubblicani per trattare Trump come un candidato normale sarebbe ridicolo, se
non fosse così pericoloso per la nostra repubblica». Seguiva una descrizione del
ciclone- Trump in tutti i suoi ingredienti: «l’idea che la cultura democratica
produce debolezza», «il fascino della forza bruta e del machismo», «le
affermazioni incoerenti e contraddittorie ma segnate da ingredienti comuni
quali il risentimento e il disprezzo, l’odio e la rabbia verso le minoranze ».
Il verdetto finale: «è una minaccia per la democrazia », un fenomeno «che alla
sua apparizione in altre nazioni e in altre epoche, fu definito fascismo ».
Tutto ciò accadeva all’inizio del duello fra Trump e Hillary
Clinton. Mentre scrivo, il verdetto finale non è ancora arrivato. La Clinton
viene data per favorita. Ma anche se dovessimo evitare il peggio, l’America
avrà vissuto un’incredibile campagna elettorale, dove è accaduto tutto ciò che
Da noi non può succedere. Un candidato ha sdoganato il razzismo, la misoginia,
l’evasione fiscale. Ha elogiato Vladimir Putin e altri regimi autoritari in
giro per il mondo. Ha invocato l’aiuto degli hacker russi contro la sua rivale.
Ha promesso di mandare in galera la candidata democratica. E, anche se chi mi
legge sta vivendo in un futuro in cui lo scenario peggiore non si è avverato,
come spero, resta il fatto che col fenomeno Trump abbiamo convissuto per
un’intera campagna presidenziale. Con lui dovremo fare i conti a lungo, molto a
lungo: per tutto ciò che ha fatto emergere dall’America di oggi.
Torno al monito severo di Kagan. Dopo che il guru
neo-conservatore aveva lanciato contro The Donald l’accusa che molti non
osavano pronunciare, il
New York Times decise di sbattere la controversia in prima
pagina. Con il titolo L’ascesa di Trump e il dibattito sul fascismo, il
quotidiano liberal dava conto nella primavera del 2016 di un allarme che stava
diventando esplicito. Un politico, l’ex governatore del Massachusetts William
Weld, paragonava il progetto di Trump per la deportazione di undici milioni di
immigrati alla “notte dei cristalli” del 1938 in cui i nazisti si scatenarono
nelle violenze contro gli ebrei. Il New York Times allargava l’orizzonte per
cogliere dietro il fenomeno Trump una tendenza più globale: mettendo insieme
una generazione di leaders che vanno da Vladimir Putin al turco Erdogan,
dall’ungherese Orban ai suoi emuli in Polonia, più l’ascesa di vari movimenti
di estrema destra in Francia, Germania, Grecia.
È così che l’élite intellettuale newyorchese ha riscoperto
due romanzi di fantapolitica. Scritti da due premi Nobel, in epoche diverse, ma
con la stessa trama: l’avvento di un autoritarismo nazionalista in America. Il
primo è questo Da noi non può succedere di Sinclair Lewis, finalmente
disponibile in italiano. Affermazione rassicurante, quella del titolo: ma
contraddetta dalla trama narrativa. Scritto e ambientato nel 1936, immagina che
Franklin Roosevelt dopo un solo mandato sia sconfitto e sostituito da un
fascista. L’altro romanzo è di Philip Roth, molto più recente (2004): immagina
che nel 1940 Roosevelt sia battuto dall’aviatore Charles Lindbergh,
simpatizzante notorio di Hitler e Mussolini. È probabile che Roth si sia
ispirato al precedente di Lewis. La grande letteratura aveva previsto ciò che i
politologi non vollero prendere in considerazione?
La reticenza che aveva impedito questo dibattito ha varie
spiegazioni. Al primo posto, la fiducia sulla solidità della più antica tra le
liberal-democrazie. Poi, l’America è abituata a considerarsi all’avanguardia; è
imbarazzante ammettere che nel 2015-2016 ha importato tendenze già in atto da
molti anni in Europa (Berlusconi-Bossi- Grillo, tanto per citare solo i nostri)
e culminate nel Regno Unito con Brexit. L’autocensura che ha trattenuto gli
intellettuali nasce anche da un complesso di colpa: la narrazione dominante
dice che l’élite pensante ha ignorato per anni le sofferenze di quel ceto medio
bianco (declassato, impoverito dalla crisi, “marginalizzato” dalla società
multietnica) che nel 2016 si è invaghito di Trump. Dargli del fascista può
sembrare una scorciatoia per ignorare le cause profonde di un disagio sociale:
quel tradimento delle élites che ho messo al centro del mio ultimo saggio.
Sulle etichette, molti preferiscono sfumature diverse, dalla
“democrazia illiberale” ai “populismi autoritari”. L’allarme di Kagan si è
rivelato comunque troppo tardivo per arrestare la tendenza dei repubblicani a
salire sul carro del vincitore. Frastornati, storditi, imbarazzati, umiliati,
ma in larga parte troppo codardi, i repubblicani avranno una responsabilità
immensa: l’aver consegnato il Grand Old Party di Abraham Lincoln e di Dwight
Eisenhower a un affarista imbroglione, egomaniaco, narcisista e con pulsioni autoritarie.
La cui somiglianza col protagonista di questo romanzo è impressionante,
inquietante.
IL LIBRO Sinclair Lewis, Da noi non può succedere (
Passigli, pagg. 320, euro 19,50). Qui anticipiamo la prefazione di Federico
Rampini