Avvenire 20.10.16
Giornata della bioetica, equivoci e occasioni.
Cosa ci giochiamo se la vita è «privata»
di Michele Aramini
C'è ancora spazio oggi per la bioetica? La stessa domanda si potrebbe porre per l'etica stessa che oggigiorno non gode di molta reale considerazione, nonostante sia continuamente invocata come necessaria in tutti i settori della vita sociale. In realtà l'etica civile sembra essere scesa nella considerazione generale allo stesso non eccelso livello di prestigio della morale religiosa. E i risultati in termini di corruzione, affarismo, libertinismo, sciovinismo e nazionalismo si vedono a occhio nudo. In questa situazione qual è lo stato di salute della bioetica? Basta la celebrazione – ieri – della nuova Giornata mondiale della bioetica, indetta dall'Unesco, a tenerne alta la considerazione e l'effettivo utilizzo nell'attività medica, nel rispetto dell'ambiente e, soprattutto, nel delicato campo della vita umana, in particolare al suo inizio e alla fine? Certamente no. Dobbiamo riconoscere che la bioetica come progetto a servizio e difesa della vita umana è piuttosto negletta. L'individualismo contemporaneo tende infatti a far piazza pulita di ogni autentico ragionamento morale. Innanzitutto, il grande principio kantiano per cui la nostra libertà trova il suo limite nella libertà degli altri è rifiutato nella sostanza. Proprio nell'ambito della bioetica alcune correnti di pensiero hanno proceduto a dichiarare 'non persona' l'uomo nelle sue fasi iniziali di embrione, feto, infante. Sulla base di questa premessa, non c'è più una libertà personale da rispettare. Lo stesso sembra valere per la parte terminale della vita, oppure quando incidenti o handicap mettono in discussione – secondo queste impostazioni – persino l'identità della persona. L'individualismo, inoltre, è divenuto così pervasivo che la politica ha dismesso buona parte del suo impegno di regolazione del bene comune. Per conseguenza la maggior parte delle questioni bioetiche tende a scivolare nell'ambito delle decisioni private. E il privato è per definizione il terreno di attuazione delle decisioni più disparate, pure di quelle arbitrarie. Anche le questioni che sembrano raccogliere un generale consenso – come il giudizio di riprovazione verso la maternità surrogata o l'eutanasia dei minori – restano all'attenzione dell'opinione pubblica per poco tempo. Poi, nel silenzio che segue, molte forze si mobilitano per affermare la privatezza delle scelte e la libera decisione in ogni settore, anche quelli più delicati, in cui sono in gioco i diritti dei più deboli. Per questo è necessario tornare ad aver chiaro che non ci sarà bioetica degna di questo nome – cioè scienza etica a servizio e difesa della vita umana – se non ci saranno dibattiti pubblici e legislazioni che tengano come cardine la protezione della vita umana. Alla luce di queste considerazioni, è assai deludente il rifiuto opposto tempo fa dagli organismi europei verso la richiesta popolare, alla quale aveva dato forma e forza una grande raccolta di firme all'interno della Ue, di pronunciarsi sullo statuto dell'embrione in modo da garantirgli l'identità di vita umana indisponibile. Bisogna lavorare intensamente perché questo riconoscimento possa arrivare: l'embrione umano è «uno di noi», come recita l'idea chiave di quella grande mobilitazione che è stata snobbata, ma non è finita. Il futuro della bioetica è strettamente legato alla dimensione pubblica e politica delle scelte in questo campo. Se, al contrario, ogni decisione dovesse scivolare nel privato la bioetica sarà archiviata come uno strumento inutile. È quello che si vuole ottenere?