Repubblica 27.10.16
Nel segno di poveri e rifugiati il viaggio luterano di Francesco
I significati della missione che porterà il Papa a Lund, in Svezia in occasione del cinquecentesimo anniversario della Riforma
di Alberto Melloni
Il
vento è una grande figura biblica. È il Soffio che accarezza il mondo
vuoto, la Voce dell’impalpabile silenzio che parla ai profeti,
l’irruento Respiro che divide il mare della liberazione. Ed è un vento
di questa caratura biblica quello che percorrerà l’Europa e porterà il
Papa di Roma a Lund,in Svezia, luogo di fondazione, della federazione
mondiale delle Chiese evangeliche — quelle che il gergo chiama
protestanti o luterane.
Francesco infatti parteciperà ad un
giubileo non suo: quello che prepara il 500° anniversario dell’inizio
della riforma di Lutero (quando, si racconta, vennero affisse le 95 tesi
alla porta del duomo di Wittenberg), con cui egli manifestava cos’è la
sete cristiana di salvezza e l’insofferenza per l’abuso nella chiesa.
Quello
di Francesco sarà «un gesto senza precedenti», ripeteranno
enfaticamente tutti. Pur sapendo che vedere un Papa fare qualcosa di mai
fatto prima, non sorprende ormai nessuno. E anzi, volendo andare di
fino, si potrebbe dire che anche questa usuale ricerca dell’inusuale
potrebbe apparire come una scivolosa analogia col registro della
politica e della sua fame di exploit, e potrebbe far correre al
magistero il rischio di venir ascoltato quando fa cose strane e di venir
ignorato — come ad esempio accade davanti alla tragedia di Aleppo o di
Mosul — quando annuncia il vangelo della pace.
In realtà ciò che
c’è di storico nel gesto di Lund non consiste nel fare a favore di
telecamera qualcosa di “nuovo”: ma nel dimostrare che alla fine del
mondo latinoamericano, dove la teologia europea ha spesso visto
dilettantismi e pericoli, una chiesa aveva custodito i grandi semi del
Concilio e del Novecento, vivi e vitali. E fra quei semi c’è
l’ecumenismo.
Un movimento che in Occidente s’è talmente
rinsecchito fra cortesie di capi e negoziati fra teologi che il termine
ha finito per essere utilizzato da non pochi cialtroni per indicare il
rapporto fra cristianesimo e religioni.
Però il seme ecumenico che
Francesco riporta al centro della scena era ed è altro: non compromessi
tessuti all’ombra dei rapporti di forza, ma il desiderio di
sperimentare che anche la Chiesa può vivere una unità come tensione che
continuamente la riforma e la aduna.
Per i cattolici era stata una
gigantesca conversione dall’utopia del “ritorno” dei fratelli separati
alla chiesa del papa alla ricerca. Nella quale la maggiore o minore
prossimità rituale e dottrinale costituiva un banco di prova: Roma si
sarebbe fermata al dialogo apparentemente più “facile” con l’ortodossia o
avrebbe cercato l’unità anche con le Chiese della e dopo la riforma?
Questa
domanda ha segnato la primavera ecumenica del cattolicesimo romano: e
ha avuto un grande peso nel dialogo cattolico- luterano. Il centenario
della nascita di Lutero nel 1983 fu l’occasione per un primo grande
passo: grazie a un lavoro storico intenso l’intensità cristiana di
Lutero ricominciava a parlare ad entrambe le chiese. Liberava Lutero dai
miti e dagli anti-miti e consegnava a tutte le Chiese la passione di un
un uomo che dopo un secolo in cui la riforma da tutti attesa era stata
rinviata, la imboccava a proprio rischio e pericolo, ritenendo ogni
compromesso impossibile in vista della salvezza.
Questa
testimonianza luminosa e irruenta, non portò però a passi di comunione
fra le Chiese: neppure il fondamentale accordo sulla dottrina della
giustificazione del 1999, che riconosceva come le due dottrine sulle
quali i cristiani si erano divisi e uccisi erano compatibili e
convergenti, veniva seguito da gesti di comunione effettiva. Fornendo
argomenti non piccoli a chi riteneva che l’ecumenismo fosse giunto al
capolinea: o perché aveva conseguito l’enorme risultato di disarmare
cristiani che si erano odiati e che imparavano a stimarsi; o perché
aveva fallito l’unità dell’altare, celebrando ancora e sempre eucarestie
divise.
A Lund, dunque, il papato di Francesco riprende il filo
di quella ricerca: a partire da una dimensione del Corpo di Cristo, che è
il Corpo del povero. Là dove era stata massima per Roma l’asimmetria
fra il rapporto con l’Oriente e il rapporto coi Protestanti, Francesco
reinventa un ecumenismo nel corpo del povero e del rifugiato. Questo,
che sarà uno dei contenuti della dichiarazione di Lund siglata dal Papa
di Roma e dal presidente della Federazione Luterana mondiale può avere
due significati: trovare ancora una volta un modo per evitare il
problema di fondo — e cioè quanta unità dottrinale serve per poter
celebrare la stessa eucarestia; o un modo per aprire quel capitolo a
partire da un corpo nel quale c’è una presenza reale del Cristo. In
attesa che da quella sottomissione alla verità cristiana spiri un altro
Vento che darà alla Chiesa quella unità che non serve ad avanzare
pretese più violente, ma a mostrare al mondo che è il soffio del perdono
che ne impedisce il crollo sotto il peso della crudeltà e della
indifferenza umane.