Repubblica 26.10.16
Il declino di Tsipras, un anno dopo «Ma io ho fatto la mia parte»
Al 17% dei sondaggi, quasi doppiato dai conservatori, non rinuncia a sfidare l’Ue
di Federico Fubini
Messi
di fronte a un’offerta politica, gli elettori finiscono sempre per
preferirla nella versione originale. Dev’essere per questo che in Europa
i leader dei partiti tradizionali si fanno superare nei sondaggi dai
loro avversari delle forze antisistema, quando cercano di imitarli.
Alexis Tsipras può invece porsi la domanda opposta, ora che siede da
quasi due anni nel palazzo bianco del primo ministro greco nei pressi
dello stadio olimpico del 1904. Forse anche i leader «populisti», quando
scelgono di adeguarsi al sistema, finiscono per farsi divorare dai loro
avversari che hanno sempre incarnato l’establishment.
A Tsipras,
l’uomo che ha portato (e tenuto) al potere i radicali di sinistra di
Syriza alleati all’altrettanto radicale destra di Anel, sta accadendo
qualcosa di simile. La sua stella è in declino da quando lui ha
rinunciato alla purezza rivoluzionaria, e ha preso ad applicare un
programma europeo di sacrifici in cambio di un po’ di ossigeno
finanziario. Gli ultimi sondaggi danno Syriza in caduta al 17% delle
intenzioni di voto, contro il 28% dei conservatori di Néa Dimokratia
guidati dal giovane leader Kyriakos Mitsotakis. Oggi in Grecia un
salario lordo di 1.200 euro al mese comporta 482 euro di contributi (più
le tasse), nove abitanti su dieci pensano che il Paese vada nella
direzione sbagliata e la crescita resta a zero. La maggioranza è appesa a
tre deputati, mentre dentro Syriza si fa sentire una fronda nostalgica
della libertà di stare ai margini e poter dire sempre di no. I populisti
di destra saranno ancora forti dalla Francia all’Austria, ma dal
laboratorio greco arriva ancora una volta un segnale per tutta Europa:
il ciclo del primo leader antisistema giunto al potere con l’euro sembra
in piena fase discendente.
Tsipras stesso non ci sta. E non ci
crede. «Preferisco perdere nei sondaggi e vincere alle elezioni —
ribatte —. Se la Spagna può avere un governo senza maggioranza, allora
io potrò pur averne uno con tre voti di margine in Parlamento», dice a
un gruppo di giornalisti europei. Porta ancora il colletto aperto sul
petto, come quando faceva politica in piazza. Ma nell’ultimo anno ha
preso qualche chilo, l’abito scuro adesso è di ottimo taglio e la
camicia bianca a righe azzurre è di quelle disegnate espressamente per
abbinarle al tipo di cravatta scura la cui plateale assenza è l’ultimo
simbolo che resta a Tsipras. Per il resto, al panico di fronte alle
banche di Atene ormai preferisce la scarsa pietà finanziaria per lo
sconfitto imposta dalla Germania.
Non per questo si arrende:
«Voteremo a fine legislatura, nell’autunno del 2019 e a quel punto i
greci giudicheranno la ripresa che avranno avuto grazie mio governo.
Oggi siamo in mezzo al guado — taglia corto Tsipras —. L’unica opzione è
andare fino in fondo». Mitsotakis, il candidato premier di Néa
Dimokratia, figlio di un ex premier, lo sta incalzando ogni giorno. In
un anno e mezzo il premier di sinistra ha imparato da zero un buon
inglese del quale è stranamente insicuro, il leader dell’opposizione
illustra il suo programma in un americano imparato a Harvard. Tsipras
non si lascia intimidire, forse perché fiuta l’opportunità di un nuovo
ruolo per sé in questa folle stagione politica europea. «La Brexit
dimostra che non sono Syriza e la sinistra lo spauracchio d’Europa —
dice —. Sinistra non significa solo fare manifestazioni. Vogliamo
cambiare l’Unione, mentre l’estrema destra la vuole distruggere ed è
questa la minaccia che dobbiamo sconfiggere insieme. La Brexit deve
farci capire che siamo dei sonnambuli. Il futuro dell’Europa mi
preoccupa».
Qualcosa però lo preoccupa nel presente, anche di più.
In Grecia oggi vivono nei campi 60 mila rifugiati, quasi tutti
mediorientali, ed è come se l’Italia dovesse ospitarne quasi mezzo
milione. L’accordo fra la Ue e la Turchia ha frenato l’afflusso da 5
mila a 50 o 100 al giorno, ma le frontiere balcaniche sono bloccate, il
Paese continua a riempirsi ma l’aiuto europeo è molto più riluttante di
quanto promesso. Sono arrivati in Grecia appena il 4% degli esperti
richiesti e dei 33 mila ricollocamenti concordati verso altri Paesi, ne
sono stati fatti in concreto solo 5 mila (verso Germania, Francia,
Svezia e Olanda). «Wolfgang Schaeuble (il ministro delle Finanze
tedesco, ndr ) dice sempre “Pacta sunt servanda”, i patti vanno
rispettati e noi facciamo la nostra parte. Ma i patti vanno rispettati
da tutti, non solo dai Paesi più vulnerabili» attacca Tsipras, prima di
lanciare una proposta pensata per fare breccia nelle barriere e nei veti
dell’Ungheria o della Polonia: «Potremmo ridurre i fondi europei ai
Paesi che rifiutano di accettare la propria quota di rifugiati». Forse
sa anche lui che è solo la sua ennesima utopia radicale destinata,
brutalmente, a fare i conti con la realtà.