il manifesto 26.10.16
Tsipras alla prova del nove sul mercato del lavoro
Intervista
all'eurodeputato di Syriza Stelios Kouloglou. «Il premier ha salvato il
paese ma finora ha avuto poca sponda in Europa»
di Teodoro Andreadis Synghellakis
I
creditori della Grecia hanno approvato ieri l’erogazione di una nuova
tranche da 2,8 miliardi di euro, nell’ambito del prestito accordato alla
Grecia l’estate del 2015, in cambio di riforme.
Nel frattempo, il
primo ministro Alexis Tsipras è tornato a ribadire che le elezioni si
terranno nell’autunno del 2019, alla scadenza della legislatura.
Per
capire meglio cosa stia succedendo nella realtà sociale ed economica
del paese, il manifesto ha parlato con il giornalista ed eurodeputato di
Syriza Stelios Kouloglou. Non nega, certo, molte difficoltà, ma
rivendica il merito del governo Tsipras di aver sensibilizzato la
sinistra di tutta Europa.
Per quel che riguarda la discussione sul
debito greco, pensa si possa arrivare ad una soluzione entro la fine
dell’anno, come dice il commissario Moscovici, o che prevarrà la
posizione tedesca, con un nuovo rinvio?
Ho paura che alla fine
possa prevalere la posizione della Germania, perché è ancora il paese
che muove i fili in Europa. Temo, quindi, che tutto venga rimandato a
dopo la fine del 2018, a dopo le elezioni tedesche. È un qualcosa di
scocciante e inaccettabile, dal momento che gli stessi tedeschi
insistono nel dire che quando c’è un accordo, deve essere applicato.
L’accordo dice che se la Grecia applica le riforme, si deve fare
l’alleggerimento del debito. Ora, però, siccome il suo paese deve votare
nel 2018 ed ha dei problemi con l’estrema destra, il signor Schäuble
(il ministro delle Finanze tedesco, ndr) non rispetta gli accordi che
lui stesso ha firmato.
Sta iniziando la trattativa sui diritti del
lavoro. Prevarrà la posizione del governo, a favore dei contratti
collettivi di lavoro, o quella di parte dei creditori, che chiedono la
deregolamentazione del mercato del lavoro, licenziamenti senza limite e
contratti aziendali?
L’Fmi vuole creare delle condizioni che
ricordano alcuni paesi dell’America Latina e anche di peggio. Il governo
greco vuole rimettere in vigore i contratti collettivi aboliti coi
memorandum di austerità, ma alla fine credo che non vincerà nessuna
delle due parti, e che si arriverà a un compromesso. Stiamo andando
verso una deregolamentazione dei rapporti di lavoro in tutta Europa, e
questo credo valga anche per la Germania, specie per i giovani.
Dopo
quasi due anni di governo di Syriza, quanto pensa che le posizioni
della sinistra greca siano riuscite a cambiare la situazione creatasi
dopo anni di durissima austerità?
Il governo è riuscito a fare
meno cose di quelle che i cittadini si aspettavano. Non per mancanza di
volontà, ma per il fatto che i rapporti di forza, a livello europeo,
erano totalmente svantaggiosi. Hanno usato la Grecia come esempio
negativo, per mettere in riga gli altri. Non è stato permesso al governo
di applicare il programma che aveva proposto, con enfasi sullo
sviluppo. Ma Syriza è un esempio positivo per tutto il resto d’Europa:
ha mostrato l’estrema durezza di molti ambienti egemoni, ha
sensibilizzato la sinistra europea ed ha insegnato molte cose anche ad
altri paesi. È anche per questo che oggi vediamo il governo portoghese,
riuscire a fare dei cambiamenti graduali a favore delle classi sociali
più deboli.
Ora qual è la sfida più grande, per il governo di Alexis Tsipras?
Far
ripartire l’economia e ridurre la disoccupazione. L’accordo impostoci
nell’estate del 2015 non lascia molti spazi di manovra, e la pressione
fiscale è molto alta. Ma se la Grecia riuscirà a entrare nel programma
di allentamento quantitativo della Bce (quantitative easing, ndr), con
il costo del denaro meno caro per le banche, si potrà iniziare a
finanziare realmente l’economia del paese. Ci sono molte imprese sane,
in Grecia, che possono assicurarsi finanziamenti solo pagando interessi
molto più alti di quelli che pagherebbero nelle economie degli altri
Stati europei. Così non potranno mai essere competitive. A Bruxelles
come a Berlino devono capire che il Sud Europa ha già sofferto
moltissimo. Ma se si dovessero trovare senza l’Euro, con monete
nazionali forti, soffrirebbero moltissimo anche le esportazioni dei
paesi del Nord Europa. Dobbiamo smettere di ballare nel salone del
Titanic, rimanendo indifferenti a quello che succede nei piani
inferiori.