il manifesto 26.10.16
Israele-Palestina, la verità del documento dell’Unesco
di Moni Ovadia
Le
 parole sono importanti! sentenziava Nanni Moretti in una scena da culto
 di una sua memorabile pellicola, dando ratifica all’affermazione con un
 sonoro ceffone vibrato ad una giornalista colpevole di esprimersi con 
un eloquio mediocre ed improprio.
Dal tempo di quell’accorato 
grido di dolore del geniale cineasta molta acqua è passata sotto i 
ponti. Abusare perversamente le parole è diventata pratica comune che 
non provoca reazioni di sofferenza; in questi giorni, il nostro capo del
 governo si è prodotto in una tecnica di perversione del senso, 
sostituendo la parola italiana condono con l’anglicismo di sonorità meno
 sconcia voluntary disclosure.
L’ordine del discorso e la scelta 
delle parole possono diventare particolarmente insidiosi quando si parla
 di Israele, governo israeliano, israeliani, ebrei e via dicendo. A me è
 capitato di sentirmi apostrofare con il termine “antipatizzante” di 
Israele per avere definito “colonie” le colonie israeliane della 
Cisgiordania invece di descriverle con il più neutro “insediamenti”. Gli
 ultras proisraeliani a prescindere, ma anche coloro che non sono 
estremisti del campo – potremmo definirli i moderati di ogni 
schieramento – manifestano un’immediata idiosincrasia nei confronti di 
un crudo linguaggio di verità, qualora utilizzato nei riguardi di 
Israele.
Per queste sensibilissime persone, parole accettabili 
all’indirizzo di qualsiasi altro paese occupante e colonialista del 
mondo, diventano inascoltabili se utilizzate per criticare gli atti dei 
governi israeliani.
Questa ipersensibilità ha provocato l’ennesima
 crociata pro Israele sulla stampa mainstream e nelle piazze, per 
denunciare l’antisemitismo dell’Unesco a proposito della sua risoluzione
 sulla Palestina occupata.
Nella traduzione integrale della 
risoluzione al comma 3 leggiamo: “Affermando l’importanza che 
Gerusalemme e le sue mura rappresentano per le tre religioni monoteiste,
 affermando anche che in nessun modo la presente risoluzione, che 
intende salvaguardare il patrimonio culturale della Palestina e di 
Gerusalemme Est, riguarderà le risoluzioni prese in considerazione dal 
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e le risoluzioni relative 
allo status legale di Palestina e Gerusalemme…”
In apertura, la 
risoluzione riconosce che Gerusalemme e le sue mura sono sacre ai tre 
monoteismi e ai loro fedeli: ebrei, cristiani musulmani. Non c’era 
dunque alcuna ragione di gridare all’antisemitismo, di accusare la 
risoluzione di voler negare il legame degli ebrei con quei luoghi. In 
realtà a me pare di intuire che la reazione degli ultras pro Israele, 
senza se e senza ma, dipenda piuttosto dal fatto che nei commi 
successivi la risoluzione si riferisca ripetutamente ad Israele con la 
definizione di “potenza occupante” e ne denunci la pratica violenta dei 
fatti compiuti sul territorio.
Ora, Israele è, piaccia o non 
piaccia, una potenza occupante e lo è da cinquant’anni e questo secondo 
le risoluzioni dell’Onu, non secondo i pro palestinesi. Ma attenti a 
dirlo! Diventereste illico et immediate antisionisti, ovvero 
antisraeliani, ovvero antisemiti. Guai all’Unesco che osa affermare che 
Israele è potenza occupante.
Invece, i politici israeliani di 
governo possono gridare ai quattro venti che Gerusalemme è la sacra ed 
indivisa capitale dello Stato di Israele nell’assoluto silenzio delle 
anime belle, e i leader dei partiti religiosi possono sostenere 
impunemente che tutta la terra di quella che fu la Palestina mandataria 
appartiene agli ebrei perché fa parte della terra “donata” da Dio.
Gli
 zeloti che fanno parte dell’elettorato della destra utrareazionaria 
sostenitrice di Netanyahu, possono farneticare di distruggere le moschee
 per edificare al loro posto il “Terzo Tempio” e compiere atti 
aggressivi nei confronti dei palestinesi, nessuno scandalo. È scandalo 
invece se il documento dell’Unesco non riconosce alle autorità 
israeliane e ai fanatici di Israele il diritto ad esercitare il proprio 
arbitrio.
Forse disturba la mancata identificazione di ebrei e 
governo israeliano in carica. Le anime belle della democrazia a popoli 
alterni sanno che le due cose sono diverse, ma dà loro un incontenibile 
fastidio. Eppure il problema di una precisa distinzione fra israeliani 
ed ebrei è ormai incandescente.
Un recente articolo apparso sul 
quotidiano israeliano Ha’aretz a firma di Chemi Shalev titolava: “Trump 
mostra agli estremisti di destra come amare Israele ed odiare gli ebrei”
 (alcuni estremisti di destra americani disprezzano gli ebrei 
progressisti con lo stesso veleno con il quale la destra israeliana odia
 gli ebrei di sinistra).
Eccolo il capolavoro che hanno edificato i
 nazionalisti e i fanatici religiosi israeliani con la fattiva 
collaborazione degli ultras pro sionisti e il benevolo sussiego di certi
 moderati che sono amici di Israele a prescindere.
Grazie a loro, 
gli eredi degli antisemiti di ogni tipo possono tornare ad odiare gli 
ebrei cominciando dai maledettissimi rossi e poi… Poi si vedrà.
Massa
 d’urto religiosa di questa nuova ideologia sono i cosiddetti 
cristiano/sionisti. Sono milioni, appartengono a chiese evangeliche 
millenariste e avventiste, sono sostenitori del sionismo integralista, 
rivendicano il diritto degli ebrei a possedere tutta la Terra Promessa e
 auspicano il ritorno di tutti gli ebrei in Eretz Israel perché secondo 
le loro profezie ciò provocherà la seconda parusia di Gesù e 
l’Armageddon. E gli ebrei? Quelli che riconosceranno il Cristo saranno 
salvi. E gli altri? Si fotteranno bruciando nelle fiamme dell’inferno! 
(L’interpretazione è mia).
 
