il manifesto 26.10.16
Cina, il sesto plenum del partito e il «nucleo» Xi Jinping
Incontro
 politico per decidere il futuro della lotta alla corruzione e del 
partito. Nel mirino il congresso del 2017. Xi Jinping punta a superare 
il tradizionale decennio al vertice del paese
di Simone Pieranni
Il
 Sesto Plenum del comitato centrale del partito comunista, ovvero i 357 
membri più influenti del paese, è storicamente un meeting dedicato ad 
ambiti politici interni. Nel conclave laico dell’hotel Jingxi a Pechino i
 boss del paese devono discutere di questioni interne prima 
dell’appuntamento degli appuntamenti, ovvero il diciannovesimo congresso
 del partito previsto tra un anno circa. Il sesto sarà il Plenum che 
dovrà stabilire come andare avanti in termini di nomine apicali e 
politiche economiche.
Il meeting di quest’anno è stato preceduto 
dai consueti articoli sulla stampa di partito che hanno consentito di 
comprendere quali saranno gli argomenti principali. Quello che emerge, 
ancora una volta, è un partito sottoposto a stress tremendi a causa 
delle consuete lotte interne. All’ordine del giorno dovrebbe esserci la 
discussione di due documenti in particolare: uno che dovrebbe ribadire 
la strenua lotta alla corruzione, consentendo a Xi Jinping di 
scardinare, finalmente dal suo punto di vista, il sistema delle aziende 
di stato.
L’altro dovrebbe riguardare la disciplina interna, per 
la quale Xi chiede sostanzialmente mano libera. Xi vuole il partito 
attorno a sé, non a caso in alcuni editoriali si è tornato a parlare di 
«nucleo» del Partito, intendendo con esso una leadership forte, fuori da
 ogni discussione e scontro interno. Ma Xi Jinping, che pure ha 
accaparrato più potere di tutti i suoi predecessori, ha parecchi 
problemi da gestire. La questione delle riforme delle aziende di stato è
 ancora in alto mare: c’è da chiedersi dunque se la sua costante ricerca
 di ruoli e responsabilità riuscirà a dissuadere i papaveri dal partito 
dal fare resistenza anche di fronte alla sua terribile campagna anti 
corruzione.
C’è poi la questione relativa alla successione tanto 
di Xi, quanto dei suoi più fidati funzionari. Il «principino» Xi Jinping
 ha piazzato molti dei suoi uomini, ha approfittato della debolezza 
percepita della cosiddetta guida collegiale di Hu Jintao e Wen Jiabao, 
ma ora si ritrova senza «eredi». Il Congresso del 2017, in teoria, 
dovrebbe fare capire chi saranno i futuri capi, mandando avanti la 
«sesta generazione» dei leader nati negli anni ’60, ma al momento non si
 vede alcun «delfino» di Xi all’orizzonte. Ipotizzabile dunque una 
doppia mossa, che non è detto, stando ai rumors che giungono da Pechino,
 possa essere ufficializzata già al termine del sesto Plenum (che si 
chiuderà il 27 ottobre): innanzitutto dovrebbe essere innalzata l’età 
per la partecipazione agli organi vitali del paese.
Ad oggi a 68 
anni bisogna ritirarsi, ma in questo modo Xi perderebbe già l’anno 
prossimo Wang Qishan il «Torquemada» cinese a capo del team anti 
corruzione e braccio destro imprescindibile del presidente. In secondo 
luogo potrebbe stabilirsi per la prima volta nella storia della 
Repubblica popolare un mandato oltre i consueti dieci anni per il numero
 uno. Xi, infatti, sembrerebbe intenzionato a rimanere al potere oltre 
il 2022, stabilendo così un altro primato e potendo contare su cinque 
anni in più del normale per preparare la sua successione.
Per la 
Cina è dunque un momento fondamentale: politicamente questo meeting 
potrebbe suggellare un definitivo successo della presidenza o dare vita a
 uno scontro che potrebbe essere letale.
Le riforme, prime fra 
tutti quelle delle aziende di stato, attendono un segnale politico per 
partire, ma quella cinese ha tutte le sembianze, al momento, di una 
palude nella quale contano ancora personaggi che si nascondono negli 
anfratti più bui della burocrazia pubblica. Xi, richiamando anche alla 
disciplina totale e riecheggiando toni maoisti (ma solo nella gestione 
del potere interno), si gioca una fetta importante di futuro, suo e del 
paese. Il plenum dovrà dunque stabilire nuove regole per una «nuova 
ripartenza» come scritto dai media di Stato.
 
