domenica 23 ottobre 2016

Repubblica 23.10.16
Agnes Heller.
La filosofa è uno degli ultimi testimoni della rivolta del ‘56 e dell’invasione sovietica
“La mia Ungheria ha perso il coraggio che ebbe 60 anni fa”
di Andrea Tarquini

Dopo l’arrivo dei russi migliaia di ungheresi fuggirono
Divennero profughi: come quelli che sono respinti oggi
Sul sito le foto storiche dell’Istituto Luce per ricordare la rivolta ungherese del 1956

«Sessant’anni fa, il 23 ottobre 1956, l’Ungheria intera, compresi moltissimi comunisti, si ribellò unita contro la dittatura. Oggi manca quel coraggio». Così la filosofa Agnes Heller, testimone eccezionale, riflette sull’anniversario di quella sfida disperata dei magiari all’impero sovietico, in nome di libertà, democrazia, indipendenza, di un’altra idea di socialismo.
C’è chi dice che il primo ministro Viktor Orbán voglia celebrazioni sottotono per non dispiacere il presidente russo Vladimir Putin: ritiene sia così o no?
«Non posso dirlo con certezza, non vivo fino a questo punto la quotidianità della politica. Noto però che delle decine di capi dell’esecutivo invitati verrà solo il presidente polacco. Molti sembrano preferir evitare di apparire a fianco di Orbán. Pensi che evoluzione: quando nel 1989 Imre Nagy (ndr. il leader comunista riformatore del ’56, poi impiccato) fu riabilitato con un solenne funerale, fu Orbán allora giovane dissidente a tenere il discorso più coraggioso. Via le truppe sovietiche occupanti, disse. Oggi molti nel mondo scelgono di disertare questa foto di famiglia con lui».
E Orbán che chiave di lettura vuol dare alla celebrazione, alla memoria del ‘56?
«Ci sarà una cerimonia ufficiale con molta musica, sicuramente lui esalterà il carattere di lotta per la libertà della rivoluzione. Non credo che sarà poi troppo gentile con i russi: non vuole irritare l’unico leader ospite, il presidente polacco, decisamente anti-russo. Orbán parla sempre due linguaggi, uno a uso interno e uno per il resto del mondo: fuori dall’Ungheria loda Angela Merkel, a casa spara a zero contro di lei. E cerca di far dimenticare a tutti che l’Ungheria oggi anti-migranti allora fu un Paese di migranti: dopo l’invasione russa fuggirono a centinaia di migliaia, trovarono solidarietà e salvezza».
E il resto del Paese come ricorderà?
«In ordine sparso, ogni partito per conto suo, dalla sinistra all’ultradestra di Jobbik. E poi la Fidesz, il partito di Orbán che come ben altri partiti fecero in passato s’identifica con lo Stato e se n’è appropriata, e poi ha introdotto nelle scuole nuovi libri di testo di Storia in cui l’attuale premier è quasi descritto come ben più eroico e importante di Imre Nagy”.
Istituzioni e Fidesz: non le sembra eccessivo il paragone con lo Stato-partito staliniano contro cui nel ’56 scoppiò la rivoluzione?
«Io non esprimo paragoni. Io constato semplicemente che la Fidesz, il partito del premier, non solo pensa di essere lo Stato, ma se ne è appropriato, e nonostante la bassa partecipazione elettorale al referendum sulle quote di migranti esulta per un 98 per cento di sì ottenuti, percentuale che ricorda quelle cupe dittature».
Ma il consenso sembra pur sempre ben ampio, non le pare siano due realtà ben differenti?
«Anche oggi in Ungheria secondo molti sondaggi 75 cittadini su cento sono insoddisfatti. Ma oggi non vedono alternative né vi sperano. Allora migliaia di comunisti trovarono all’improvviso il coraggio di dire ai capi della dittatura di dimettersi. Oggi nessuno mai nella Fidesz avrebbe il coraggio di chiedere a Orbán di lasciare: manca la contestazione interna riformatrice che allora nel Pc ungherese fu col riformatore Imre Nagy. Le rivoluzioni vincono – se i regimi non perdono guerre – solo quando la voglia di libertà contagia anche il potere».
Il ’56 quanto fu importante per l’Europa divisa?
«Estremamente importante. Specie per la sinistra. Grazie a politici e intellettuali soprattutto italiani e francesi, allora comunisti, che ebbero il coraggio di scelte dure. Rompendo col partito seppero dire che qualsiasi potere deve essere legittimo, e che quei regimi non erano legittimi. Oggi fatico a trovare coraggio simile».
Ma fra le sinistre europee sul ‘56 ci furono anche molti silenzi e ritardi di decenni: con le sue parole vuole assolverli?
«No. Molti, restarono sotto la bandiera anche dopo l’arrivo degli invasori. E anche socialdemocratici o centristi, anni dopo fornirono una patente di ‘riformista’ a Jànos Kàdàr, il proconsole messo al potere da Mosca. Quella benevolenza verso Kàdàr, che certo alleggerì la repressione ma prima fece arrestare a tradimento e impiccare Imre Nagy, non è pagina delle più lusinghiere della storia europea. Come non è lusinghiera la pazienza infinita oggi verso Orbán».