Corriere 23.10.16
Come si diventa italiani, Il sangue e il suolo
risponde Sergio Romano
Mi
piacerebbe conoscere il suo parere circa lo «jus soli» come criterio
per concedere la cittadinanza, rispetto allo «jus sanguinis» finora
seguito in Italia (una legge su questa materia è tuttora in discussione
in Parlamento). Sul Corriere di sabato 15 ottobre, Goffredo Buccini
definisce lo jus soli come «il sacrosanto principio vigente negli Stati
Uniti, secondo il quale chi nasce in un Paese ne diventa cittadino». A
me pare che non ci sia niente di sacrosanto in questo principio: è
semplicemente una scelta giuridica, particolarmente utilizzata da alcuni
Paesi in via di sviluppo (come era all’origine il caso degli Stati
Uniti) per incrementare il numero dei loro cittadini.
Alberto Angelucci
Caro Angelucci,
Jus
sanguinis è un concetto apparentemente fondato sulla convinzione che il
popolo di ogni Stato abbia caratteristiche comuni, distinte da quelle
di altri popoli. Appartiene alla mitologia degli Stati nazionali ed è
servito a creare il sentimento della comune appartenenza a una stessa
«stirpe» quando le masse stavano facendo il loro ingresso sulla scena
politica. Si temeva allora che fosse pericoloso dare il voto a cittadini
che non si sentissero storicamente uniti da un legame storico; e per
ovviare a questo rischio fu inventato in molti Stati un passato
leggendario, popolato da antichi antenati di cui tutti erano lontani
nipoti. Accadde persino in grandi democrazie, come la Francia, dove
nelle scuole della III Repubblica gli insegnanti spiegavano agli alunni
che i francesi discendevano dai galli. Paradossalmente questo accadeva
in un periodo in cui il Paese, per le esigenze della propria economia,
importava mano d’opera, in particolare dall’Italia e dalla Polonia.
Anche
in Italia, soprattutto in epoca fascista, fu spiegato che nelle vene
degli italiani scorreva sangue latino e più tardi, nell’ultima fase del
fascismo, addirittura sangue ariano. Nella realtà, tuttavia, l’Italia ha
sempre adottato uno «jus sanguinis» mitigato e corretto. Il ragazzo
nato in Italia da genitori stranieri diventava italiano alla maggiore
età se accettava di fare il servizio militare, mentre la ragazza
straniera diventava automaticamente italiana se sposava un cittadino
italiano.
Da allora molte leggi sono state ritoccate e lo «jus
sanguinis» è ormai un concetto colorato di razzismo che si preferisce
menzionare il meno possibile. Ma negli anni Novanta è stato pur sempre
applicato dal governo italiano con molta liberalità ai discendenti di
emigrati soprattutto nelle Americhe. Prevale tuttavia, in linea di
principio, lo «jus soli», ma non senza qualche attenuazione. L’Europa
non è l’America, dove il bisogno di nuove braccia ha reso lo «jus soli»
una necessità nazionale. Nei Paesi europei il regime della
naturalizzazione varia da un Paese all’altro. È particolarmente liberale
in Francia dove il cittadino straniero può chiedere la cittadinanza
dopo avere vissuto nel Paese per cinque anni. È più avaro in Italia dove
sono necessari dieci anni e il giovane nato qui da genitori stranieri
diventa italiano alla maggiore età .