Repubblica 23.10.16
Renzi a confronto con Obama Bruxelles e il referendum
Il presidente Usa ha detto che l’Italia è la maggior alleata degli Stati Uniti
di Eugenio Scalfari
PER
FARE il punto sulla situazione del governo Renzi e dell’Italia dobbiamo
parlare dell’incontro con Barack Obama. L’attuale Presidente degli
Stati Uniti è arrivato alla scadenza del suo mandato che terminerà
ufficialmente a gennaio del 2017. A differenza di quanto avviene da noi,
dove un ex Presidente diventa automaticamente senatore (emerito) a
vita, negli Usa non occupa alcuna carica, è un cittadino come tutti gli
altri, salvo il prestigio che nel suo caso sarà molto diffuso. Allora
perché Renzi ha puntato e punta sull’incontro di Washington e sulle
dichiarazioni che Obama ha fatto dopo il colloquio politico con il
nostro presidente del Consiglio? E che cosa ha detto Obama in quel
senso?
Anzitutto ha detto che l’Italia è la nazione che gli Usa
considerano la più importante alleata in Europa. Naturalmente lo è anche
la Germania e lo è stata fino a poco tempo fa la Gran Bretagna la quale
però, dopo Brexit, ha profondamente modificato il suo ruolo
internazionale. Quanto alla Germania, Angela Merkel per un anno ancora
deve tener conto delle difficili elezioni politiche. Fino ad allora la
sua politica internazionale passerà in secondo piano.
Naturalmente
anche Renzi ha i suoi problemi di politica interna con scadenze molto
prossime: il referendum del 4 dicembre e la legge elettorale. Per quel
che può valere per la pubblica opinione italiana, Obama ha auspicato la
vittoria del Sì referendario. Renzi farà valere questa sorta di
predicato ed è probabile che un’influenza ci sarà ma non massiccia.
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POTRÀ
ESORTARE gli indecisi e confermare la decisione di votare Sì. Dalle
prime stime dei sondaggisti il Sì di Obama potrà spostare tra l’1 e il 2
per cento e avvicinarlo notevolmente al No che ancora lo precede ma di
poco. Insomma un miglioramento marginale ma può anch’esso essere
importante. Va ricordato che Obama ha aggiunto che Renzi dovrà restare
al governo anche se vincesse il No. Difficile capire perché l’ha detto,
ma questo aspetto è stato ancor più importante per Renzi anche se
l’ipotesi non è molto facile a verificarsi. Se dovesse accadere Renzi
dovrebbe fare qualche cosa per renderlo possibile, cioè affrontare
seriamente il tema della legge elettorale.
Ma ci sono altri due
punti nel discorso di Obama che riguardano l’Italia ma soprattutto gli
Stati Uniti. Il primo è l’accoglienza ai rifugiati, quando le parole del
Presidente americano hanno ancora una volta fatto proprie le parole di
papa Francesco: accogliere i rifugiati da qualunque parte del mondo
provengano.
Il secondo punto è stato quello della politica
dell’Occidente verso l’Africa e i Paesi dai quali cinque milioni di
persone fuggono e, in prospettiva, tra vent’anni saranno 50 i milioni di
emigranti.
L’Africa è un continente nel quale si nasce molto e si
fugge molto. Su questa realtà, attuale e prospettica, l’intero
Occidente deve agire, cominciando dalla Libia e da tutto il Maghreb. Gli
Usa sono interessati al tema quanto l’Europa e sono pronti ad
intervenire con risorse economiche ed anche militari. Ma sul problema
africano anche il Califfato musulmano entra in gioco.
La Libia è
uno dei fronti principali e Obama ha ricordato che sul teatro libico
spetta all’Italia assumere la guida, assumendo il suo ruolo e le sue
responsabilità.
Questo è dunque il dono che Renzi ha portato a
casa dall’incontro americano, concluso con una cena dove erano state
invitate circa trecento persone della società civile americana,
italiana, italoamericana. Vedremo nelle prossime settimane l’effetto di
questo dono in Italia e in Europa e come sarà ricambiato.
***
Il
primo riscontro di quel dono Renzi ha voluto verificarlo in Europa e
infatti da Washington è volato a Bruxelles dove si è incontrato con
tutte le principali Autorità dell’Ue. Soprattutto quelle che si occupano
di problemi economici, di muri eretti ai confini intraeuropei e di muri
politici contro l’immigrazione e i suoi costi. Per quanto riguarda
l’Italia abbiamo anche costi aggiuntivi provenienti dal terremoto e da
tutto ciò che ne consegue. L’accoglienza è stata sostanzialmente
favorevole, soprattutto sul fronte economico dove una serie di
chiarimenti erano stati già dati e lo saranno ancora nei prossimi giorni
dal nostro ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, come i nostri
lettori possono leggere oggi su queste pagine in un’intervista da lui
rilasciataci.
Padoan ha ampiamente esaminato da un lato le regole
europee che sono rigorosamente da noi rispettate, dall’altro la
necessità che alle regole venga tuttavia affiancata la politica
economica che cambierà di giorno in giorno secondo l’orientamento dei
risparmiatori, delle imprese, delle banche, delle assicurazioni, del
reddito. Insomma della vita. Le regole acquistano un senso se sono
affiancate dalla politica economica, dalle riforme sociali, dalla
gestione del deficit e del debito pubblico, dagli obiettivi
dell’austerità o della crescita, dall’inflazione o dalla deflazione.
Mario Draghi è al vertice di questi problemi non solo per la sua
capacità tecnica, ma soprattutto per la sua consapevolezza politica. E
infatti effettua interventi che realizzano una vera e propria politica
economica, effettua interventi sul mercato e contemporaneamente
suggerisce ai governi le riforme e le misure necessarie che quando può
attua lui stesso, a cominciare dalla proposta di un ministro del Tesoro
unico per tutta l’Eurozona, da lui avanzata più volte e fatta propria
anche da Renzi. L’idea è stata finalmente accettata a Bruxelles, ma ora
deve avere l’approvazione delle 19 nazioni aderenti alla moneta comune,
il sì del Parlamento europeo e la ratifica dei 19 membri dell’Eurozona.
Purtroppo passerà del tempo perché c’è di mezzo la burocrazia la quale
non è certo un esempio di velocità.
L’economia è fondamentale
anche per Renzi. Su questo torneremo, ma non sempre i suoi interventi
sono stati felici e non sempre è stato d’accordo Padoan: sulle materie
economiche che non lo riguardano si è dichiarato neutrale, proprio per
marcare il proprio dissenso.
L’errore più frequente di Renzi è
stato quello di effettuare interventi che avessero come primo effetto
quello di produrre maggior consenso politico ed elettorale. E quindi il
“Jobs Act”, i condoni fiscali, le riforme sulle pensioni, il sostegno ai
giovani precari piuttosto che la creazione di nuovi posti di lavoro
capaci di rilanciare la nostra economia.
Recentemente però Renzi
si è reso conto che la ricerca del consenso deve avere come solida base
non alcune regole pro tempore ma una politica antirecessiva e quindi le
ha in qualche modo modificate. Siamo ancora lontani dal 10 e lode, ma
una sufficienza l’ha meritata. Speriamo che in un prossimo futuro dal 6
raggiunga almeno l’8 su dieci: sarebbe un netto miglioramento e gli
garantirebbe consensi assai più stabili e diffusi che non con le mance
una tantum i cui effetti passano con la velocità del tempo. Ma qui c’è
la politica, dentro e fuori dal suo partito.
Del partito parleremo
tra poco, ma prima c’è un altro interlocutore che sta al vertice dello
Stato e che Renzi andrà a consultare nei prossimi giorni: il presidente
Sergio Mattarella.
Il Capo dello Stato è molto riservato, è nel
suo carattere e nella correttezza costituzionale dei suoi comportamenti.
Conosce a menadito le sue prerogative, si chiamano così le funzioni che
la Costituzione gli assegna e che il Presidente assolve con puntuale
osservanza. Naturalmente non lo priva affatto dei suggerimenti,
esortazioni e insomma dell’aspetto politico che l’alta carica che
ricopre non solo gli riconosce ma in qualche modo lo esorta a compiere,
riservatamente ma con la dovuta energia.
Ho avuto il piacere e
l’onore di essere invitato al Quirinale per quattro chiacchiere, come si
usa dire, di politica con lui, ma è accaduto da qualche tempo e molto
prima del viaggio americano di Renzi. Ovviamente nulla saprò su quello
che si diranno nei prossimi giorni e sugli eventuali suggerimenti ed
esortazioni che il Presidente probabilmente gli darà. Non sono quindi in
grado di riferire né comunque lo farei. Ciò che posso arguire sul modo
di pensare del Presidente, questo sì, posso farlo.
Il Presidente è
favorevole al referendum costituzionale che pone fine al bicameralismo
perfetto. La maggior parte, anzi tutti i Paesi europei sono
monocamerali. Il Senato esiste ma con poteri d’intervento assai
limitati. Nella maggioranza dei casi esprime pareri che la Camera
considera col dovuto riguardo poiché i senatori di solito provengono da
ambienti culturalmente preparati. Ma nulla più che pareri. Il potere
legislativo si muove appunto nei limiti che la Costituzione gli assegna.
La linea politica la indica il Parlamento e il “premier” nominato dal
Capo dello Stato e dal successivo voto di fiducia del Parlamento,
esprime la linea politica di cui la sua nomina è stato il sugello e la
esegue con il governo da lui presieduto.
Qualora però il
Parlamento provenisse da una legge elettorale sostanzialmente favorevole
al governo in carica al momento del voto, allora diventerebbe lo
sgabello per un governo e soprattutto per il suo premier con tendenze
autoritarie e questa è la ragione che lega il referendum del 4 dicembre
alla legge elettorale vigente, anche se ancora mai attuata.
Renzi
fino a poco tempo fa ha del tutto ignorato, anzi ha negato che
l’Italicum abbia questi difetti. Vuole la lista unica, vuole il premio
di maggioranza, vuole il ballottaggio. Vuole anche, anzi mettiamolo al
condizionale: vorrebbe la compattezza del suo partito. Ma questa finora
non l’ha ottenuta.
Teme molto il No e fa di tutto per ottenere la
maggioranza dei Sì, ma recentemente ha detto che se prevalessero i No
lui non si dimetterebbe da presidente del Consiglio, così come gli ha
suggerito anche Obama.
Tuttavia una novità c’è stata ed è
rilevante: ha dichiarato pubblicamente ed anche in Parlamento d’una sua
decisione a modificare la legge elettorale, ha invitato le Commissioni
parlamentari competenti ad aprire quanto prima la discussione
parlamentare in proposito e, in qualità di segretario del Pd, ha
nominato un comitato di 5 membri: i due capigruppo di Camera e Senato,
il presidente del partito, un rappresentante della maggioranza dem e un
rappresentante dei dissidenti o almeno di una buona parte di essi.
Questo
comitato chiuderà i suoi lavori la prossima settimana formulando un
progetto di riforma che sarà sottoposto alla direzione del partito. Se
sarà approvato (ovviamente con il sì di Renzi) verrà presentato in
Parlamento con l’impegno del premier a presentare gli interventi
necessari per l’attuazione della nuova legge.
Questo è lo stato dei lavori. Questione di giorni, sempreché la riforma della legge elettorale sia sostanziale.
O
la va o la spacca. La partita è decisiva per il prosieguo del governo
Renzi ed è per questa ragione che, secondo me, anche il Capo dello Stato
è favorevole alla suddetta linea. Se invece di risolversi si spacca,
allora toccherebbe alle sue prerogative presidenziali entrare in
funzione.