Repubblica 23.10.16
Cinque superstati, le regioni speciali
di Michele Ainis
C’È
UNA norma, nascosta fra le disposizioni transitorie della riforma
Boschi, che è più potente d’un cannone. Perché inventa la suprema fonte
del diritto, superiore alla Costituzione stessa.
PERCHÉ le norme
transitorie transitano, mentre questa si proietta sull’eternità. E
perché infine, grazie ai suoi incantesimi, la riforma dello Stato genera
cinque superStati: le Regioni speciali.
Per raccontare questa
storia, dobbiamo partire per un triplo viaggio nel tempo. Il primo fino
al dopoguerra, quando per un complesso di motivazioni politiche,
etniche, geografiche, viene concessa una particolare autonomia a
Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta, Trentino (il Friuli s’aggiunse nel
1963). Il secondo viaggio approda nel 2001, l’anno della riforma
federalista varata sotto il governo Amato: una sbornia di competenze per
le quindici Regioni ordinarie, che a quel punto surclassano le cinque
sorelle maggiori, le fanno retrocedere in autorità e poteri. Tanto che,
per evitare il paradosso di Regioni speciali che in realtà diventano
subnormali, la legge costituzionale n. 3 del 2001 introduce la «clausola
di maggior favore», stabilendo che il nuovo Titolo V della Costituzione
s’applichi anche a loro, nelle parti in cui sia più vantaggioso
rispetto agli statuti speciali.
Il terzo viaggio a ritroso è
altresì il più breve. Un anno fa, ottobre 2015: l’oscillazione del
pendolo, che di volta in volta converte gli italiani da giustizialisti a
garantisti, da proporzionalisti a maggioritari, da federalisti a
centralisti, stavolta gira contro gli enti regionali. E infatti in
Senato si sta perfezionando la riforma che taglierà le unghie alle
Regioni. Mica a tutte, però: le autonomie speciali rimangono fuori dalla
giostra. Perché mai? Semplice: perché dispongono d’un fuoco di
sbarramento che può fucilare la riforma. Diciannove fucili, quanti sono
attualmente i senatori (per lo più eletti in Val d’Aosta e Sud Tirolo)
del Gruppo per le autonomie.
Siccome però le garanzie non sono mai
abbastanza, siccome oggi va bene ma «di doman non v’è certezza », gli
autonomisti pretendono (e ottengono) la fideiussione perpetua. E il 9
ottobre 2015 il Senato approva l’emendamento 39.700, primo firmatario
Karl Zeller, ovvero il presidente del Gruppo per le autonomie. Da qui il
comma 13 dell’articolo 39, da qui la regola che vieta per tutti i
secoli a venire di sforbiciare le competenze delle Regioni speciali, a
meno che non siano loro stesse a decretarlo. Cambia infatti il
procedimento di formazione degli statuti, dove per l’appunto s’elencano
tali competenze: nel caso delle cinque Regioni ad autonomia
differenziata, servirà una legge costituzionale adottata dallo Stato
«sulla base di intese con le medesime Regioni».
Diciamolo: è la
novità più innovativa della nuova novella. Non tanto per l’uso dello
strumento pattizio, quanto per il suo grado d’efficacia, per il
condizionamento che poi ne deriva. Difatti la Costituzione in vigore ne
contempla già un paio d’applicazioni: nell’articolo 8 (intese fra lo
Stato e i culti acattolici) e nell’articolo 116 (intese fra Stato e
Regioni). In entrambe le ipotesi, però, le intese precedono una legge
ordinaria, non una legge costituzionale. Dunque lo Stato può sempre
disattenderle, può insomma decidere da solo, purché intervenga con legge
di revisione costituzionale, modificando l’articolo 8 o l’articolo 116.
Ma in questo caso no, non è possibile. Il comma 13 detta una regola
procedurale, né più né meno dell’articolo 138 della Costituzione, di cui
è figlia la riforma Boschi. Se domani si correggesse lo statuto del
Trentino senza rispettare il comma 13, sarebbe come approvare una
riforma Boschi bis senza rispettare l’articolo 138.
Vabbè, è dura
da capire. Ma è ancora più dura da spiegare, ed è durissima da
concepire. Anche perché la concezione del concetto è una e trina, come
Dio. Primo: aumenta la forbice tra Regioni ordinarie e speciali, benché
in partenza l’idea fosse quella di parificarle. Secondo: gli statuti
speciali sono più garantiti della Costituzione medesima, giacché nel
loro caso occorre un passaggio in più (l’intesa), con un procedimento
ultrarafforzato. Terzo: l’autonomia delle Regioni speciali non verrà mai
più ridimensionata, a meno che esse stesse decidano di fare harakiri.
Risultato: ci sbarazziamo del Senato, per liberarci dai suoi poteri di
veto. E lo sostituiamo con cinque veto players, le Regioni- Stato.
Evviva.