Repubblica 23.10.16
Bari, il documento della Asl
E dopo l’aborto l’offesa delle parole
di Michela Marzano
È
LEGITTIMO consegnare a una donna che ha appena abortito una pagina
dattiloscritta in cui, in modo asettico, e a tratti anche brutale, la si
invita a riflettere sulle “implicazioni di ordine morale, sociale e
psicologico” del proprio gesto, come accaduto recentemente in una Asl di
Bari? «Gli uomini si contraddicono con uno stolido cinismo», scriveva
Simone de Beauvoir nel Secondo sesso parlando dell’aborto, aggiungendo
che la donna, queste contraddizioni, le sperimenta nella sua “carne
ferita”.
«SI SENTE contaminata, umiliata; è lei che incarna sotto
forma concreta e immediata, in sé, la colpa dell’uomo». Certo, era il
1949 e l’interruzione di gravidanza era ancora reato, costringendo molte
donne ad abortire nella clandestinità, con tutte le complicazioni e i
pericoli che ne conseguivano. Certo, da quando l’interruzione volontaria
di gravidanza è stata depenalizzata, il linguaggio della “colpa” e
della “punizione” è diventato desueto, spingendo anche alcune persone a
immaginare che un aborto possa essere un atto innocuo e privo di
qualunque conseguenza. È estremamente raro, tuttavia, che una donna
decida di abortire a cuor leggero, pensando che la decisone presa,
talvolta dopo giorni di incertezza e di sofferenza, non abbia alcun
effetto. Talvolta capita di ritrovarsi incinta senza averlo voluto.
Talvolta accade di non sentirsela proprio di diventare madre. Talvolta
lo si fa e poi ci si pente.
La vita è sempre più complicata di
quanto possa immaginare chi, certe cose, le vive dall’esterno. E magari
preferisce sentirsi a posto con la propria coscienza consegnando a una
donna che ha appena abortito un documento in cui, con un linguaggio
lapidario e burocratico, si annuncia che l’Ivg non è una mera procedura
chirurgica o farmacologica, «ma un rischio per la stabilità emotiva
della donna». Un richiamo sulle «implicazioni di ordine morale, sociale e
psicologico» e che però, nonostante sia vero che l’Ivg non sia né
banale né evidente, risuona francamente come una sorta di “memento
mori”: ricordati che hai sbagliato! Ma in nome di quale morale ci si può
permettere un gesto che non ho alcuna remora a definire violento? Come
si può anche solo immaginare di potersi lavare la coscienza sporcando
quella altrui? Che genere di sensibilità e di attenzione per il paziente
si mostra di avere agendo in questo modo? Quale cura? Quale primun non
nocere (“per prima cosa, non nuocere”) come recita il giuramento di
Ippocrate?
È giusto discutere con una donna che si appresta a
praticare una Ivg per capire con lei se sia o meno possibile percorrere
un’altra strada. È doveroso informare ogni donna dell’esistenza di
validi metodi contraccettivi. È anche comprensibile che, dopo un aborto,
il personale medico si mostri disponibile e pronto ad ascoltare una
donna e ad accoglierla successivamente se lei lo desidera. Ma
consegnarle una pagina dattiloscritta in cui ci si augura che
l’intervento cui è stata sottoposta la donna «rimanga unico» significa
veramente tornare indietro di quasi un secolo e umiliare la donna, per
utilizzare di nuovo le parole di Simone de Beauvoir. Ricordandole che,
nonostante tutto, «è lei che incarna sotto forma concreta e immediata,
in sé, la colpa dell’uomo».