domenica 23 ottobre 2016

Repubblica 23.10.16
Parenting
Essere genitori non è un mestiere ed è sbagliato voler determinare il destino dei figli Che vanno accompagnati, ma poi lasciati andare La psicologa Alison Gopnik demolisce le tendenze educative a base di “sostegno e controllo”
“Non si sta al fianco di chi si ama pensando ai risultati da ottenere”, spiega la studiosa americana. “Meglio prendersi dei rischi e abituarsi all’idea che servono anche i fallimenti”
di Anna Lombardi

«Meglio un genitore “falegname” che forgia i figli secondo parametri rigidi o uno “giardiniere” che ne coltiva l’unicità? Io non ho dubbi: i bambini non sono tavoli da costruire sperando che i chiodi piantati oggi li rendano solidi domani. Sono piuttosto orchidee, lilium, margherite: fiori diversi da far sbocciare nel miglior ambiente possibile fino a creare un ecosistema». Al telefono dalla sua casa di Berkeley, California, dove insegna psicologia e filosofia, Alison Gopnik distrugge con una metafora fiorita la teoria del “parenting” secondo cui è necessario crescere i figli con una bilanciata dose di “sostegno e controllo”. «Non esistono modelli educativi buoni o cattivi: essere genitori è più naturale del lavoro in cui lo abbiamo trasformato». Pioniera di studi sull’età evolutiva, mamma di tre maschi e nonna di due bambine (ma anche figlia della celebre linguista Myrna Gopnik e sorella del giornalista del New Yorker Adam) Alison, 61 anni, indaga la mente dei più piccini con libri diventati bestseller come Il bambino filosofo. Ora, con The Gardener and the Carpenter (il giardiniere e il falegname, appunto), appena uscito in America, tratta il delicato tema di come affrontare la crescita attraverso il processo educativo.
Basta col parenting, dunque: cosa dire ai genitori che ne hanno applicato le formule?
«Non si sta al fianco di chi si ama pensando ai risultati da ottenere nel tempo. Nessuno pensa che applicando certe regole in famiglia, si trasformeranno i genitori in persone migliori: eppure si pensa di poterlo fare con i bambini, mentre l’unico modo per aiutarli ad affrontare la vita è farli crescere sereni, coltivandone le attitudini con spontaneità».
Fin qui tutto sbagliato dunque?
«È sbagliata l’idea che essere genitori è un mestiere. La scienza non condivide affatto certe teorie. Altro che mamme tigri: se una formula esiste è che non ci sono formule. E l’unico vero errore è continuare a cercarle».
Cos’è un buon genitore?
«Qualcuno che non pretende di determinare chi sarà suo figlio. Meglio prendersi dei rischi e abituarsi all’idea che i figli affronteranno fallimenti. Si vivrà con meno ansia la relazione reciproca e si tireranno su persone autonome, capaci di affrontare le insidie della vita. Naturalmente bisogna offrirgli un ambiente confortevole e stabile. Accompagnarli: ma saperli lasciar andare».
Lei cita un esperimento. A un gruppo di bambini viene dato un tubo che cela sorprese. Ad alcuni viene mostrato come fargli emettere suoni. Ad altri nulla. Questi ne svelano le magie. Quelli imitano il gesto dell’adulto ma non scoprono nulla.
«L’esperimento non dimostra che i bambini vanno lasciati soli. Prendersene cura con amore e abnegazione è essenziale. Ma all’interno di questa cornice bisogna lasciarli esplorare: per fargli scoprire le sue attitudini».
Che ambiente serve?
«Un villaggio familiare formato da nonni, zii, cugini con cui il bambino si relaziona».
Ma oggi, con genitori spesso lontani da nonni e altri parenti, non è utopistico?
«È più complicato. Un ambiente simile si può sostituire con una buona scuola primaria, insegnanti stimolanti, sabbia, peluche. Peccato che anche gli ambienti “nutrienti” sono sempre più minati dal modello parenting, dove ogni tappa è forzata e schematizzata».
Non sarà che facciamo figli troppo tardi?
«Sicuramente chi ha figli tardi conosce meglio il mondo del lavoro che quello dei bambini: così li affronta come un mestiere, cercando regole per farlo al meglio su manuali che parlano di obiettivi da raggiungere. Poi in una società che misura tutto attraverso i concetti di consumo e produzione anche i figli diventano azioni di valore o in perdita. Dimenticando che i veri valori sono altri».
Quali?
«I figli sono parte del nostro essere umani. La relazione con loro è parte fondante della nostra evoluzione: la cura dei bambini ha generato adattamenti come le figure sociali di padri e nonni che altre specie non hanno. Non solo: essere unici e imprevedibili fa parte della nostra strategia di sopravvivenza. Ci ha permesso di superare le avversità».
E quei genitori che spingono i figli verso una particolare attitudine artistica, culturale, sportiva?
«Meglio dare stimoli e lasciar scegliere il bambino. Trasmettere valori e passioni è importante. Bisogna però sapere che il bambino potrà non seguire le nostre indicazioni».
Ecco: si discute tanto della libertà di “gender”, di considerazione del sesso, contro cui si è scagliato anche il Papa.
«Noi passiamo valori ai nostri ragazzi: ma nel tempo loro li rielaborano. Lo vedo con i miei figli e le mie nipoti: i Millennials guardano al gender in maniera diversa anche rispetto alla visione aperta che una madre liberal come me può avergli dato. Io parlavo con naturalezza di amore fra un ragazzo e una ragazza. Loro oggi parlano allo stesso modo dell’amore fra persone dello stesso sesso. Dobbiamo accettare il fatto che rinnovano e cambiano a modo loro i nostri valori e le nostre idee».
Come crescono i figli del parenting?
«Direi che i figli di chi ne ha più pianificato il futuro sono paurosi. So che ogni generazione pensa che quella successiva andrà all’inferno: ma questi ragazzi sono davvero più timidi, più vulnerabili. Ma fra le colpe del parenting c’è l’aver trasformato la relazione con i figli in una fatica, l’aver soffocato mamme, papà e figli con regole e conseguenti sensi di colpa».
Smartphone, web, social network. Quanto incidono sulle nuove generazioni tecnologie che cambiano così velocemente?
«Difficile dirlo: la generazione che nasce dopo che qualcosa è stato inventato la vive come naturale. Gli adulti vedono cambiare il mondo comprese le strutture sociali e relazionali a cui sono abituati. Ma è sempre stato così. L’elettricità, il treno, la tv: hanno cambiato la società ma non in peggio. Perché, appunto, superare la tecnologia dei propri genitori e cambiare la società è un processo naturale».
Supereremo anche questo costante senso di inadeguatezza?
«Spero che i genitori imparino a liberarsi dalla pressione di dover fare le cose giuste. I bambini imparano a risolvere le situazioni difficili da soli, attraverso l’osservazione e il gioco. Imparano così quella flessibilità senza schemi che li aiuterà ad affrontare ogni insidia. E questo vale sulla lunga distanza».