Repubblica 21.10.16
Cento milioni dai conti correnti
Banche, il salvataggio pagato anche da noi
La
Banca d’Italia osserva ma non prende una posizione. Cambiare istituto
l’unica arma I tempi di chiusura di un conto sono rallentati se vi sono
attaccati bollette, carte di credito e mutui
di Giovanni Pons
DOPO
i 350 milioni di bond subordinati targati Banca Etruria, Banca delle
Marche, CariChieti e CariFerrara finiti polverizzati nelle mani dei
risparmiatori, ora altri 100 milioni di quel salvataggio così salato e
discusso stanno per essere scaricati sulle spalle di 4,5 milioni di
correntisti. In questi mesi, infatti, scattano i rincari dei costi di
tenuta dei conti correnti presso il Banco Popolare, Ubi e Unicredit,
giustificati con i contributi versati da tutte le banche al Sistema di
garanzia dei depositi (che garantisce i conti fino a 100 mila euro) e al
Fondo nazionale di risoluzione.
PER questi tre istituti un tale
aggravio di costi costituisce un «giustificato motivo per un aumento»
dei canoni mensili o annuali di tenuta dei conti correnti. I maggiori
costi sono stati comunicati, come prevede la legge, da Banco Popolare,
Ubi e Unicredit alla propria clientela attraverso lettere allegate o
comprese negli estratti conto. Il Banco scrive che i contributi da essa
versati nel 2015 sono stati pari a 152,1 milioni, di cui 113,9 non
ricorrenti e 38,2 ricorrenti e che la banca «ha necessità di mitigare
detto esborso». Infatti con il prelievo una tantum di circa 25 euro che
verrà trattenuto a fine anno sulla gran parte dei conti di privati e
imprese (circa 1,5 milioni di posizioni) la banca rientrerà di circa 30
milioni di euro. Per Ubi, invece, l’esborso previsto per il 2016 per i
contributi dovuti ai due fondi è pari a 53,1 milioni «con conseguenti
riflessi sui costi di gestione dei rapporti il cui originario equilibrio
economico risulta per tale effetto alterato». Quindi, dal primo
ottobre, i conti di circa 3 milioni di clienti saranno caricati di 12
euro in più all’anno (persone fisiche) o anche 24 euro (persone
giuridiche). Unicredit va invece a toccare — adducendo ben sei
motivazioni diverse tra cui il Single resolution fund — solo le modalità
Silver, Gold e Platinum del conto Genius, circa 100 mila posizioni, con
aggravi dei canoni mensili di 1 o 2 euro.
Il fenomeno al momento
sembra limitato a questi tre istituti ma l’elevato numero di correntisti
toccati da questi provvedimenti, circa 4,5 milioni, induce a temere che
la manovra possa allargarsi nei mesi futuri. Da una prima ricognizione
compiuta da Repubblica presso le principali banche italiane risulta che
Intesa Sanpaolo, Bnl Paribas, Cariparma, Bpm, Monte dei Paschi, Bper,
Credem, Fineco, Che Banca!, Creval, Deutsche Bank, Popolare di Vicenza,
Bancoposta, hanno tutte dichiarato ufficialmente di non aver aumentato
nel corso del 2016 i costi sui conti correnti a causa della
partecipazione ai Fondi di risoluzione e Tutela dei depositi. La Vicenza
ha però fatto sapere che per il futuro sta valutando questo tipo di
provvedimento mentre Deutsche potrebbe tra qualche mese ritoccare i
costi di alcuni conti a causa dei forti investimenti sostenuti per la
sicurezza. Per Conto Bancoposta Più c’è invece stato un rincaro di 0,40
euro sul costo di domiciliazione delle bollette dovuto a una promozione
scaduta ma solo per alcuni fatturatori.
In ogni caso, sulla spinta
di diverse proteste ricevute da correntisti del Banco Popolare,
l’associazione Altroconsumo ha preso carta e penna e scritto alla Banca
d’Italia, al viceministro dell’Economia Enrico Morando e all’Abi,
sostenendo che «il motivo apportato dalla banca per una maggiorazione
così consistente non possa essere considerato “giustificato” e
“congruo”». Perché i correntisti di una banca solida come il Banco
Popolare devono pagare il “Salvabanche” applicato a 4 banche in crisi?,
si domanda Altroconsumo nella lettera. E quindi, per legge, se manca il
giustificato motivo la variazione non è efficace.
La Banca
d’Italia, dal canto suo, il 29 settembre scorso ha fatto sapere che:
«Stiamo osservando con attenzione il comportamento di alcune banche nel
ribaltare sulla clientela dei depositanti e dei correntisti i costi
sostenuti per effetto delle crisi bancarie. Le norme sono più tutelanti
in Italia che in molti altri Paesi nei confronti dei clienti delle
banche e prevedono che una banca possa, sì, cambiare le condizioni
contrattuali di deposito o conto corrente, ma solo se vi è un
giustificato motivo e seguendo una procedura trasparente e informando
adeguatamente il cliente per consentirgli di fare le proprie valutazioni
(ed eventualmente recedere)». A parte il monitoraggio ancora nessuna
presa di posizione precisa, anche se Bankitalia fa capire che l’unica
vera arma in mano ai risparmiatori è quella di chiudere il conto e
cambiare banca, scegliendo un istituto più soddisfacente sotto il
profilo dei costi. La legge dà infatti 60 giorni di tempo al correntista
per recedere, e se lo fa entro questo termine non dovrebbe incorrere in
spese. Anzi, per la banca vi è obbligo di trasferire i soldi al nuovo
conto entro 12 giorni lavorativi dalla firma del modulo. Ma questa
procedura rapida vale solo per il trasferimento dei contanti mentre
nella maggior parte dei casi a un conto corrente è associata la
domiciliazione delle bollette, le carte di credito, la rata del mutuo,
che richiedono tempi ben più lunghi per essere trasferiti. Ecco perché
cambiare banca di frequente per un qualsiasi cliente è un esercizio
faticoso, non è facile come cambiare supermercato. E questa
farraginosità gioca a favore delle banche.