giovedì 20 ottobre 2016

Repubblica 20.10.16
Zingaretti in aula non risponde ai pm, scontro con i 5Stelle
I legali del governatore del Lazio: ha esercitato un suo diritto, parlerà dopo la decisione del gip
Roma, il presidente: i pm hanno chiesto l’archiviazione I grillini: altra figuraccia pd dopo quella della Campana
di Federica Angeli

ROMA. Si è avvalso della facoltà di non rispondere Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, nel corso della 130esima udienza del maxi processo Mafia Capitale. Chiamato come testimone di Buzzi, il ras delle cooperative rosse, e di un personaggio minore dell’inchiesta (Luigi Figurelli, collaboratore del presidente del consiglio comunale sotto la giunta Marino) il numero uno della Regione ha scelto di non rendere testimonianza, essendo coinvolto in un procedimento penale connesso a Mafia Capitale ormai in fase di archiviazione anche se non ancora chiuso. Una scelta che ha scatenato la polemica del M5S. Ma che i legali di Zingaretti fuori dall’aula motivano così. «Il presidente era anche nella lista della difesa di Buzzi. É mai possibile che una persona possa essere chiamata a difendere Buzzi quando lo stesso ha accusato il mio assistito di reati gravissimi per cui è già stata richiesta formale archiviazione da parte della procura?». E poi: «Non appena il gip accetterà la richiesta di archiviazione, Zingaretti tornerà in aula e risponderà a tutte le domande».
Attaccano però i 5Stelle: «Come da me preannunciato», dice il capogruppo M5S al consiglio regionale Devid Porrello, «il presidente Zingaretti si è avvalso della facoltà di non rispondere, forse ispirato dalla figuraccia della sua collega Michaela Campana. Stupisce che il presidente da un lato lamenti di essere stato calunniato da Buzzi e dall’altro utilizzi questa circostanza per non fornire i chiarimenti richiesti».
Perché Zingaretti ha scelto di non parlare? Nell’estate del 2015, spiegano dal suo entourage, Buzzi, interrogato dai pm Luca Tescaroli e dall’aggiunto Paolo Ielo, muove accuse pesantissime nei confronti di 70 persone, tra politici e amministratori pubblici romani. Tra questi c’è appunto Zingaretti, accusato di aver preso soldi in cambio di un appalto per il centralino unico delle prenotazioni per le visite mediche del Lazio. Il presidente, appresa dai giornali la notizia delle accuse,sporge denuncia per calunnia contro Buzzi. La procura di Roma nel frattempo aveva iscritto nel registro degli indagati tutti i 70 indicati da Buzzi e due settimane fa ne ha chiesto l’archiviazione. «Le dichiarazioni di Buzzi, dopo riscontri effettuati, risultano non veritiere», scrivono i pm nella richiesta al gip, sottolineando che «il tentativo di risultare collaborativo agli occhi di questa autorità giudiziaria ha portato l’imputato ( Buzzi, ndr) a fornire una serie di informazioni infondate». La denuncia per calunnia di Zingaretti, presentata una anno prima di questo atto della procura, risulterebbe confortata da quanto asserito dal pool dei magistrati antimafia.
Così ieri mattina, seduto al banco dei testimoni, Zingaretti, informato dal presidente della Corte sulla possibilità di potersi avvalere della facoltà di non rispondere in quanto ancora aperto un procedimento connesso a quello in corso, ha scelto di non rendere testimonianza, diramando poi un comunicato: «Ho denunciato Buzzi, testimonierò nel suo processo per calunnie. Durante le sue deposizioni in carcere nell’estate del 2015 il signor Buzzi ha accusato me e altre decine di persone di aver commesso alcuni reati. Per le sue accuse la procura ha aperto su di me delle indagini per cui ora è stata chiesta archiviazione. Si è determinata una situazione paradossale in cui sono stato chiamato a giustificarmi delle false accuse quando dovrebbe essere lui a spiegare perché me le ha rivolte».