giovedì 20 ottobre 2016

Corriere 20.10.16
I costi (anomali) della politica
Dai 916 euro di Giachetti ai 720mila di Marchini, cosa racconta del Palazzo il rendiconto delle spese per la corsa l Campidoglio
di Sergio Rizzo

È l’obbligo che il Movimento 5 Stelle ha imposto a tutti i suoi eletti sia negli enti locali che al Parlamento nazionale ed europeo. Ogni mese vanno documentate le spese effettuate per la funzione svolta e contemporaneamente vanno indicate le somme che vengono «restituite» attraverso la devoluzione ad un fondo per le piccole imprese appositamente costituito.
roma Non è vero che i nostri politici hanno le mani bucate. Non tutti, almeno. Per esempio Roberto Giachetti, il candidato sindaco di Roma del Partito democratico, dichiara di aver speso per la campagna elettorale 916 euro. Di cui però soltanto 416 di tasca sua. Il resto sono «contributi di terzi».
Roba da far schiattare d’invidia la grillina Virginia Raggi che, sì, ha seppellito il suo avversario al ballottaggio, ma a caro prezzo: 223.673 euro e 11 centesimi. Dimostrazione del fatto che la politica, a dispetto di certe ipocrisie, non si fa gratis. E il totem di internet non ha sconfitto le regole della vecchia propaganda. Al punto che il conto elettorale della sindaca di Roma supera non soltanto l’esborso dichiarato dal candidato della sinistra Stefano Fassina, ammontato a 114.585 euro, ma anche quello della candidata della destra Giorgia Meloni, che si è fermato a 222.311 euro e 34 centesimi.
Meno di un terzo, è vero, rispetto ai 720.397 euro dichiarati da Alfio Marchini. Ma una cifra comunque rispettabile, e tale da far sorgere la seguente domanda: come avrà fatto il parsimonioso Giachetti a spendere quanto un candidato consigliere grillino quale Marcello De Vito (860 euro «iva inclusa», precisa il Nostro)? Per non parlare dei suoi stessi compagni di partito. Michela Di Biase, incidentalmente consorte del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, dichiara spese per 10.500 euro. Valeria Baglio, invece, per 27.301 euro. Mentre Ilaria Piccolo tocca la vetta di 77.454 euro. In attesa che il mistero Giachetti venga finalmente svelato, non resta dunque che prendere ancora una volta atto che la politica costa. E costa ancora decisamente troppo. C’è però un problema ancora più grave, ed è sempre lo stesso. Ovvero la trasparenza, che spesso si fa di tutto per aggirare, a dispetto delle dichiarazioni e delle stesse prescrizioni di legge.
Prendete i rimborsi che spettano ai parlamentari. Oltre a una indennità di 5.304 euro netti al mese, la Camera e il Senato pagano a ciascun eletto una diaria di 3.503 euro e 11 centesimi per le spese di soggiorno a Roma, ma chissà perché la somma tocca anche agli onorevoli eletti nella Capitale. La questione è stata sollevata più volte dalla stampa, ma il Parlamento ha sempre fatto orecchie da mercante. Ora c’è una proposta di legge del Movimento 5 Stelle, che però non ha vita facile: com’era prevedibile. Se mai dovesse passare, i maligni prevedono massicci trasferimenti di residenza.
Ma c’è un capitolo ancora più spinoso. Riguarda i denari che spettano agli onorevoli per pagare gli assistenti e far fronte alle altre spese del mandato politico. Ogni deputato ha a disposizione 3.690 euro al mese; per i senatori la somma è invece di 4.180 euro. Ma l’obbligo di rendicontazione riguarda solo la metà della cifra. Né hanno mai fatto breccia le proteste degli assistenti parlamentari, spesso pagati in nero, perché anche qui si adotti la regola europea per cui i portaborse vengono retribuiti direttamente dagli uffici. La verità è che in molti casi la parte non rendicontata viene riversata al partito, in più con relativa detrazione dalle tasse. Le dimensioni del fenomeno sono sconosciute, ma l’ostinazione a non cambiare le regole, alla faccia della trasparenza sbandierata a sproposito, parla piuttosto chiaro.
Da questo punto di vista l’obbligo di rendicontazione applicato dai grillini è un bel passo avanti. Anche perché svela una realtà talvolta assai diversa dall’immaginazione. E le spese di 108 mila euro dichiarate da Luigi di Maio fra le polemiche dei suoi stessi colleghi di partito dicono tutto. Del resto basta scorrere le sue rendicontazioni mensili. L’ultima disponibile, quella di maggio 2016, dice che il vicepresidente della Camera ha ricevuto nel mese «rimborsi forfettari da rendicontare per un totale di 7.193,11 euro», a fronte dei quali ha speso 6.732,20 euro. Con un risparmio, prontamente restituito, di 460,91 euro: il 6,4 per cento.