sabato 1 ottobre 2016

Repubblica 1.10.16
Il premier e il professore le due Italie sul ring della tv
di Michele Smargiassi

«PROFESSORE». «Signor presidente». Basterebbero gli appellativi previsti dal galateo a rendere visibile la differenza. Ma conta anche il linguaggio del corpo, nella sfida fra le ragioni del Sì e quelle del No. Matteo Renzi col busto inclinato all’indietro, rilassatezza ma anche stare-in-guardia.
GUSTAVO Zagrebelsky leggermente piegato in avanti, atteggiamento di attacco, ma anche pedagogico. Renzi, mani spesso aperte a sollevare qualcosa di pesante, lo sguardo che si ricorda ogni pochi secondi di agganciare quello della telecamera, cioè dello spettatore, una cartellina sul tavolo, non scrive, è solo una faretra piena di frecce per mettere in contraddizione l’avversario. Zagrebelsky, mani che spesso si uniscono come a tenere stretto qualcosa di importante, un quadernino su cui scrive a tratti, gli occhiali sul tavolo, lo sguardo quasi sempre fisso sul suo avversario. È un confonto, se non ad armi dispari, fra universi distanti.
Due posizioni che si escludono l’un l’altra, due opzioni scritte a caratteri cubitali dietro la schiena, Sì, No, diverse come il blu dal verde degli sfondi, e tutti sappiamo che una sola fra due mesi vincerà. Eppure il faccia-a-faccia fra il premier e il professore non è come un ballottaggio. In un duello elettorale tradizionale entrambi i contendenti puntano allo stesso “piatto” e rischiano la stessa posta. Qui invece Renzi si gioca una carriera politica, Zagrebelsky no: un politico smentito dal popolo è sfiduciato per definizione, l’autorevolezza del «più grande costituzionalista italiano» (parola dell’arbitro Enrico Mentana) riposa su scienza e coscienza (rivendicate con fierezza: «Lo dica agli altri costituzionalisti…»).
Ma questa dissimmetria, se può rendere più ansioso uno e più tranquillo l’altro, non è un vantaggio per il secondo. Nello studio di Mentana va in scena una sfida, e non c’è sfida senza rischio, il rischio è un atout, il pubblico televisivo educato dai talent show lo pretende e lo apprezza. Forse per questo, proprio mentre Renzi metteva la sordina al suo, Zagrebelsky prima del match ha trovato un modo ironico per mettersi alla pari: «Se vince il Sì dovrò smettere di insegnare diritto costituzionale, perché non ho capito come questa riforma possa funzionare».
Gli argomenti, certo. Ma questo incontro-scontro fra il campione degli Orazi e quello dei Curiazi, atteso da mesi e mesi, non è solo una questione di parole. È un palinsesto simbolico di segni verbali, visuali, comportamentali e metaforici. I trentadue anni che dividono i due (Renzi 41, Zagrebelsky 73), più dell’arco di una generazione, non sono l’unica né la decisiva differenza. Il premier maneggia bene i tempi televisivi, il giurista meno, ma appare meno premeditato. Uno ha spin doctors che lo preparano a queste performance, l’altro ha un’attitudine professionale alle sfumature analitiche, ai pro e i contro, che chiunque sia andato a scuola riconosce, ma che lo rende vulnerabile a un contrattacco sintetico. Mentana aveva promesso «un’ora e mezzo senza urli e stre- piti», ma con grande senso dello show evita i tempi cronometrati e lascia libero corso a interruzioni e rimbecchi, sapendo che non trascenderanno. Zagrebelsky ha un buon inizio, si libera abilmente dalla maschera del «gufo» e del «parruccone», ma Renzi a sua volta sa quale framing deve disinnescare: se nel duello live alla Festa dell’Unità di Bologna con il presidente dell’Anpi Carlo Smuraglia era riuscito a non farsi confinare nello schema partigiano- boyscout, nonno-nipote, questa volta sa che dovrà sfuggire ad altre trappole simboliche. Col suo modo colto di argomentare Zagrebelsky può confinare Renzi nella politique d’abord contro i valori ideali, farlo apparire come il politico tattico di fronte al custode della Costituzione. Ma il premier scansa lo schema da scolaretto al cospetto del maestro con aggressive antifrasi retoriche: «Io ho studiato sui suoi libri professore!», che significa: non la riconosco più, lei è in contraddizione. Zagrebelsky dice: «Si tratta di intendere bene», Renzi rintuzza: «Voi date interpretazioni, noi parliamo della realtà». «Vedremo cosa dirà la Corte costituzionale», «No, lo dice già la calcolatrice». Due lingue della politica, incompatibili come un sì e un no.
Uno ha le mani aperte l’altro chiuse, uno guarda nella telecamera l’altro il suo avversario