Repubblica 1.10.16
Nell’Ungheria che vota per sfidare l’Europa
La filosofa Heller: “Ma Orbán cavalca la paura”
Il
governo: “Vogliamo dare un chiaro segnale all’Ue”. L’opposizione:
“Diritti umani a rischio” Dal Muro a Budapest, viaggio alla vigilia del
referendum anti-profughi. “Ora basta immigrati” di Andrea Tarquini
Domani ai seggi per dire no all’imposizione di quote di rifugiati da parte di Bruxelles
ASOTTHALOM
(FRONTIERA TRA UNGHERIA E SERBIA). L’ordine parte via radio e sms,
«allarme rosso, cercano di passare la barriera». Il rombo delle jeep
Hummer e dei camion MAN made in Germany delle forze di sicurezza
ungheresi rompe ogni notte il silenzio nell’ordinata cittadina di
Asotthalom a un passo dalla frontiera con la Serbia. Elmetti e stivali
in kevlar, visori notturni e armi in pugno, agenti e guardie confinarie
accorrono. «Abbiamo mezzi moderni, sensori ed elicotteri che vedono ogni
movimento a terra, ma i passatori di clandestini cercano con droni
punti deboli del confine», dice Zsolt Gulyas, comandante della polizia
locale. Stanotte i soldati sono arrivati prima, «però ieri 110
clandestini sono entrati così», aggiunge il colonnello Balazs della
polizia di frontiera. In questo clima da assedio e difesa della fortezza
Europa, l’Ungheria del popolarissimo premier nazionalconservatore
Viktor Orbàn va a votare domenica 2 ottobre. Domanda dura: «Volete o no
che la Ue imponga quote di ripartizione di migranti senza parlare con le
autorità sovrane nazionali?». Vittoria scontata, incertezze solo sul
quorum. Mentre elogia Donald Trump, Orbàn scommette tutto. Cerca più
popolarità, sfida Bruxelles, si propone come leader dei nuovi
nazionalconservatori europei.
«Tutto sotto controllo, non
passeranno», grida un soldato al walkie-talkie. «Restate pronti,
elicotteri, caccia dell’aviazione e sensori sono in allerta», risponde
la centrale. La barriera-muro esiste da un anno, «dai 391mila ingressi
illegali siamo scesi a 17mila circa, ma sono sempre più rispetto al
2011», ammonisce il colonnello Balazs. Pausa sigaretta, poi nuovo
allarme rosso, gli Hummer sgommano verso altrove. Secondo Orbàn, e nei
sondaggi 8 ungheresi su 10 sono con lui, l’Europa si difende così o
sparirà.
«È una nuova cortina di ferro, uno schiaffo ai diritti
umani», sostiene Marta Parvadi del “Comitato Helsinki”. Ma la maggior
parte delle persone non la pensa così. «Sono camionista da anni, prima
di Orbàn me li trovavo a bordo, minacciavano con pugnali», narra
l’ipertatuato Làci. Il governo ostenta certezze. «Non siamo xenofobi,
difendiamo le frontiere Schengen ed europee secondo i trattati», mi dice
il portavoce e “spin doctor” di Orbàn, Zoltàn Kovàcs, nel suo ufficio a
Via Garibaldi civico 2, nel maestoso centro della Budapest che non
dorme mai. «Vogliamo un segnale chiaro per governo, Parlamento e Ue. Da
europeisti temiamo per il futuro dell’Europa, ne difendiamo i confini.
Chi in Europa ci attacca non vede che le paure degli ungheresi sono
condivise da molti elettori europei, invece di attaccarci discutano con
noi e altre forze democratiche, un monopolio di liberal e sinistre è
inaccettabile».
Governo certo di vincere. Campagna elettorale
efficace, onnipresente. «Salviamo il futuro dell’Ungheria, votiamo no»,
dicono poster a ogni incrocio e autostrada. Londra e Parigi, Nizza e
Bruxelles, Stoccolma e altri centri pulsanti d’Europa, 900 città in
tutto, sono “no-go zones” (aree da evitare ndr) nei volantini della
maggioranza. Deboli e divise, a fronte dell’umore popolare le
opposizioni parlano poco. «Non trovano argomenti», mi dice un
diplomatico Nato. Crescita economica al 3%, conti sovrani gestibili,
rating migliorato di Standard&Poor parlano chiaro. «La
Orbanomics ci dà più chances e lavoro», esulta Attila Behovits, ieri
povero disoccupato oggi facoltoso venditore di street food di qualità,
inventa salsicce speciali, fatturato 365mila dollari l’anno. Salari
bassi e povertà per un terzo, ma tra investimenti Mercedes e Audi e
fondi di coesione Ue funziona. «Non odio i migranti ma temo che mi
tolgano lavoro», confessa Viktoria, giovane commessa. «Ma è uno
Stato-mafia», denuncia il sociologo di grido Bàlint Magyar, dissidente
sotto la dittatura comunista come oggi, lo ascolto all’elegante Central
Café. «Orbàn controlla l’economia con un sistema di “famiglia di amici
degli amici”, chiede al popolo una prova di lealtà, vuole un test per le
prossime politiche. Col no ai migranti cerca di avvicinare al suo
partito, la Fidesz (membro del Ppe, ndr) più elettori. Minacciano: città
che voteranno pro-migranti riceveranno meno aiuti, più stranieri
allocati».
Passeggio ancora nel centro, incontro lo storico László
Tökéczki. «Sono in campagna elettorale ogni giorno, prendiamoci la
pausa d’un buon vino italiano. Militanza stressante, ma incoraggia»,
racconta. «Anche gli zingari e i molti altri cittadini poveri ci
capiscono: paese impoverito da quaranta anni di comunismo, i migranti
toglierebbero risorse per aiutare loro». La Ue spara a zero su Orbàn,
dice la Cnn alla tv nel ristorante dove chiaccheriamo. «Orbàn parla con
coraggio da patriota europeo, la cancelliera Merkel dovrebbe ascoltare
gli elettori che la abbandonano. Crimine, culture ostili, troppe
minacce. E basta, settanta anni dopo la fine della guerra, di chiedere a
ungheresi e tedeschi di sentirsi sempre fascisti colpevoli».
Tre
stazioni di metro più a sud, pensa e dice altro Agnès Heller, decana
della cultura europea. «Orbàn vuole recuperare consensi evocando odio e
paure, non ha ideologie, le usa. Abilissimo stratega con sete di potere,
vero leader del gruppo di Viségrad (Repubblica Ceca, Polonia,
Slovacchia e Ungheria, tutti Paesi antimigrazione ndr), vuole farsi
leader d’una nuova Europa nazionalconservatrice, illiberale». Corsa
verso il referendum-sfida magiara alla Ue col fiato sospeso, eppure a
Budapest la movida non si ferma. Lo vedi ovunque, dalla mostra di
Modigliani al Castello (accanto a cui stanno costruendo il nuovo ufficio
di Orbàn) a Kiraly utca dai mille locali, tra “sfilate” di ragazze,
rock e pop e birra a fiumi. «Decideremo all’ultimo come votare,
decideremo presto o tardi se emigrare dopo la laurea per guadagnare
meglio a Stoccolma o Berlino, o restare in Patria», affermano Erzsi e
Gàbor, coppietta abbracciata, prima di abbandonarsi alla notte brava.