Repubblica 1.10.16
Il referendum dell’Ungheria e il ruolo dell’Europa
di Nadia Urbinati
L’UNGHERIA
sarà la protagonista politica di questa prima domenica di ottobre, se
non altro in Europa e tra coloro che osservano con attenzione e ansia
l’evoluzione ideologica degli stati dell’Unione dopo Brexit. I cittadini
ungheresi sono chiamati alle urne per esprimersi sul seguente quesito
referendario: «Volete che l’Unione Europea abbia il potere di rendere
obbligatorio l’insediamento in Ungheria di cittadini non ungheresi anche
senza l’approvazione» del parlamento ungherese? La costruzione del
testo del referendum è un fatto molto politico, nonostante lo stile di
burocratica imparzialità con il quale si presenta agli elettori. Questo
testo in particolare è concepito e scritto in modo da disporre la mente
degli ungheresi verso una sola risposta, che è naturalmente negativa.
Infatti quale popolo sovrano portato alle urne su un tale quesito
accetterebbe di votare contro la propria sovranità?
Il referendum
ungherese è a tutti gli effetti una consultazione sull’Europa, inteso a
surriscaldare l’opinione pubblica con sentimenti nazionalisti. Si
annidano qui due forme di nazionalismo: quella tradizionale, che invoca
la sovranità del Parlamento, e quindi dei cittadini, su chi può essere
ammesso a risiedere nel territorio nazionale; e quella meno
tradizionale, che ambisce a spingere l’Europa stessa verso politiche
euro-nazionalistiche, ovvero di chiusura dei confini continentali. E
siccome l’Ungheria si trova, per caso, a condividere una porzione dei
confini europei (per giunta quella parte di essi più esposta alle
migrazioni da sud-est), l’implicazione del referendum è a ben vedere
anche quella di accreditare l’esistenza di una lotta in difesa delle
frontiere europee.
Perché questo referendum? La domanda è
tutt’altro che retorica. Infatti, se è vero che si attende una vittoria
schiacciante del “no”, è altrettanto vero che non è per nulla chiaro
quali saranno gli esiti effettivi o formali di questa vittoria. Infatti,
nonostante “l’appello al popolo” voluto dal capo del governo Victor
Orbán, il referendum non sembra poter rovesciare la decisione presa lo
scorso anno dagli stati-membri della Ue di distribuirsi gli obblighi di
accoglienza nei confronti dei richiedenti asilo. E non sembra neppure
avere conseguenze reali sul piano legislativo. C’è quindi da pensare che
questo referendum abbia a tutti gli effetti una natura propagandistica e
cerchi di alzare l’attenzione verso Bruxelles — voluto cioè per
corroborare i già forti sentimenti anti-migranti e tenere alta la
temperatura nazionalista, ungherese ed europea. Il referendum sembra
voler ricercare appoggio ideologico interno e da parte di altri stati
membri con l’intento di far pendere la politica di Bruxelles verso
questi recalcitranti nazionalismi. Ma il referendum ha altri due scopi
dimostrativi, messi ben in luce da Jan-Werner Müller sul sito online di
Foreign Policy: innanzitutto, quello di riconfermare una linea anti-
europeista che può far guadagnare all’Ungheria la già attiva
cooperazione con la Russia di Vladimir Putin; e poi quello di distrarre
gli ungheresi dai problemi economici pressanti e consentire ad Orbán di
consolidare la sua credibilità con Angela Merkel, il destinatario
sottotraccia di questo referendum. Il cui paradosso, nel cavalcare un
nazionalismo anti-europeista, è di far acquistare ad Orbán più peso in
Europa, come il leader più coerente della “cultura nazionale cristiana”
europea contro il pericolo esterno di una “invasione musulmana”.
L’Europa, dunque, come un veicolo per rafforzare e legittimare il
nazionalismo degli stati. E un referendum che vuole sventolare la
bandiera nazionalista non per lanciare una sua “Brexit”, ma per
accrescere il proprio peso a Bruxelles. L’Europa resta l’orizzonte di
riferimento più che l’obiettivo di ostilità nel quale questo referendum
ungherese è stato indetto. Viene da chiedersi che cosa sarebbe oggi del
nazional-populismo senza l’Europa.