La Stampa 1.10.16
In piazza l’altra faccia dell’Ungheria
“Niente muri, non siamo tutti Orban”
Migliaia a Budapest contro il referendum su migranti e quote Ue voluto dal premier
di Monica Perosino
La
piazza di fronte al parlamento è piena. In Kossuth tér a Budapest ci
sono migliaia di persone. Sono arrivati in silenzio, alla spicciolata.
Srotolando timidamente bandiere ungheresi ed europee hanno tirato fuori
dalle borse – ma solo una volta superato il presidio della polizia -
modesti striscioni fatti di cartone e fazzoletti. Le frasi sono scritte
con pezzi di scotch rosso: «Siamo tutti persone», «Restiamo umani».
«Restiamo umani», è anche lo slogan che sovrasta il piccolo palco
montato in mezzo alla piazza, proprio sotto l’ufficio del primo
ministro. È il messaggio della manifestazione organizzata dalle dieci
principali ong ungheresi a meno di 48 ore dal referendum di domani sulla
redistribuzione dei profughi in Ungheria voluta dall’Europa, che
assegnerebbe al Paese 1.200 rifugiati in tutto.
È la prima volta
che, in mesi di martellante campagna governativa per il «no», l’«altra»
Ungheria scende in piazza. Il loro è un «no» che cerca di opporsi ai
muri, alle centinaia di comizi governativi, ai 4 milioni di opuscoli e
agli investimenti milionari per «l’immagine del Paese» che da quando il
referendum è stato indetto hanno cercato di persuadere gli ungheresi che
l’immigrazione mette in pericolo la cultura cristiana, porta terrorismo
e malattie, rappresenta una minaccia concreta alla sicurezza e al
benessere.
Quello di ieri è stato il primo, ma non è l’ultimo,
tentativo di evitare che domani si celebri la vittoria di Fidesz, il
partito di governo nazional-populista. Oggi la Coalizione democratica
(all’opposizione) organizzerà una grande catena umana perchè «vogliamo
rimanere in Europa» e domenica un gruppo di intellettuali, docenti
universitari e artisti ha in programma una manifestazione contro la
violenza e la paura.
In prima fila sotto il palco, schiacciata
contro le transenne, c’è Rotzsa, 87 anni, che ondeggia con grazia al
ritmo di Exodus, Bob Marley. Ride, tira fuori tutto il fiato che ha per
urlare «Magyarország nem Orbàn!», l’Ungheria non è Orban. Accanto a lei
Edit Vlahovis, 56 anni, attrice, e Agnes Komanomi, 47 anni, manager per
le risorse umane. «Siamo qui oggi per dire agli ungheresi e all’Europa
che non ci arrendiamo, che non tutti in questo Paese sono rimasti
accecati dalla campagna di un governo che vuole distrarre l’opinione
pubblica dai veri problemi di cui soffriamo: un’economia stagnante,
sanità ed educazione allo sfascio». Edit ha incontrato alcuni profughi
alla stazione, qualche mese fa: «Gli ungheresi viaggiano poco, e
conoscono meno ancora. Così la dittatura soft di Orban ha buon gioco.
Nessuno, soprattutto nelle zone più rurali, lo ha mai visto un arabo.
Basterebbe parlare con qualcuno di loro per capire che, alla fine, siamo
tutti esseri umani».
Mentre la piazza si riempie è ancora il
portavoce del governo, Zoltan Kovacs, a ribadire il pensiero di Orban:
«Domani il messaggio a Bruxelles arriverà forte e chiaro: non si può
fare politica contro la volontà della gente». I sondaggi prevedono che
l’80% dirà «no» alle quote decise dall’Unione europea per i
ricollocamenti, ma al tempo stesso mettono in forte dubbio che il quorum
dei voti validi superi il 50%, rendendo illegittima la consultazione,
come avvenne per passati referendum sull’Ue e la Nato. In più c’è
l’appello di alcuni partiti di opposizione al voto nullo, barrando ad
esempio entrambe le caselle e alzando così il quorum dei voti validi.
Degli intervistati solo il 42% ha dichiarato che si recherà alle urne e
di questi l’83% ha detto di essere dalla parte di Viktor Orban e di
voler votare contro le quote. Solo il 13% intende votare «sì» alla
domanda sulla scheda, con posizioni più filo-Ue, e il 3% pensa di
annullare la scheda. Sul fronte del no la maggior parte degli elettori
di Fidesz (86%), partito di Orban, e dell’estrema destra di Jobbik
(88%). Per l’astensione soprattutto gli elettori di sinistra: solo il
20% intende recarsi alle urne. «La nostra unica speranza – dice Noemi
Fers, 23 anni, studentessa di architettura - è che non si raggiunga il
quorum e che si abbandonino le posizioni emozionali che hanno guidato i
miei concittadini nell’ultimo anno a favore di un dialogo più razionale e
costruttivo».
Gli elettori ungheresi sono chiamati a rispondere
al quesito: «Volete che l’Unione europea possa prescrivere
l’insediamento obbligatorio di cittadini non ungheresi anche senza il
consenso del Parlamento ungherese?». Orban ha detto di sperare che anche
altri Paesi Ue facciano referendum sull’immigrazione riferendosi
innanzitutto ai suoi alleati del gruppo Visegrad - Polonia, Repubblica
Ceca e Slovacchia -, per resistere «all’invasione di massa e chiudere i
confini».