sabato 1 ottobre 2016

Repubblica 1.10.16
La crociata di Xi per la famiglia così Pechino cura il mal di divorzio
Le separazioni tra coppie Millennials crescono ormai a ritmi record Con un effetto: il freno dei consumi interni. E allora ecco gli “allontanatori” di amanti
di Angelo Aquaro

PECHINO. La guerra di Pechino al divorzio è appena cominciata e non saranno certo i ribelli della Me Generation, i ragazzi degli anni Ottanta e dell’ondata più consumista del Figlio Unico, a rovinare la formidabile ascesa di Xi Jinping e del suo “Sogno Cinese”. No, questi divorzi non s’avranno più da fare. La percentuale degli addii continua a salire ininterrottamente dal 2003 e l’ultimo numero disponibile, più 6 % nel 2015, è ormai paurosamente vicino a quel 6.9 % che sempre lo scorso anno ha segnato il primo stop in un quarto di secolo nell’espansione fin qui formidabile del Pil. Ed è più che un segnale d’allarme. Perché i due fenomeni vanno a braccetto come le coppie che infilano le porte girevoli dell’Ufficio matrimoni qui al Chaoyang District, uno dei più grandi di Pechino, capitale anche degli amori finiti (56mila, sei anni fa erano meno della metà) e che sempre più spesso si scontrano con le ragazze e i ragazzi che scendono ancora più soddisfatti le scale dello stesso ufficio: lato divorzi. Sliding doors, come nel film: basta poco. Se consensuale, l’addio si ottiene all’istante, previa compilazione di un semplice modulo che differisce da quello del matrimonio solo per il colore: rosso per dire per sempre sì, verde per ricredersi, e dire mai più.
That’s China. Tradizioni millenarie – addio mia concubina – che si intrecciano con i capricci dei Millennials, questi Piccoli Imperatori che prima hanno accontentato i genitori convolando alle nozze promesse e poi, con la stessa facilità, stanno facendo salire al cielo l’indice degli addii. Colpa, o merito, dell’ultima delle liberalizzazioni. Quando i comunisti presero il potere, 1949, cancellarono la vergogna della poligamia dell’era imperiale, ma per giustificare l’esuberanza di tanti leader, Grande Timoniere in testa, quattro mogli, introdussero uno sbrigativissimo divorzio. Solo nel 1980, dopo che Deng Xiaoping aprì il paese di Mao Zedong alle Quattro Modernizzazioni, la Marriage Law riconobbe il divorzio senza colpa. Finché, proprio come nel business, sono arrivate le semplificazioni, prima fra tutte la cancellazione dell’umiliante obbligo di ottenere il “visto” dal datore di lavoro. Ultimo atto, 2003, il divorzio in giornata.
Il fatto è che il boom ha finito per mettere in luce tutte le contraddizioni della seconda potenza economica del mondo. Prendete la signora Chen. «Ho aspettato dieci anni per questo giorno» sospira accomodata nelle poltroncine bianche nella hall degli uffici di Chaoyang, i cuoricini in cartone rosa penzolanti dal soffitto, il custode all’ingresso («No, non sono autorizzato a parlare») che distribuisce i numerini per le pratiche di matrimonio o divorzio. «Vengo dalla provincia di Henan, sono nata nel 1969, nel 1987 ero già sposata, quindi il primo e unico figlio, qui a Pechino: ho aspettato che crescesse e si sposasse lui, per divorziare io». La sua è una storia che sembra arrivare da un’altra Cina, il signor Liu – che non sembra particolarmente contento dello sfogo della prossima ex moglie con il cronista straniero – vive con un’altra donna da 10 anni. «E adesso» dice lei «sono io a volermi rifarmi una vita».
Separazione & liberazione? No, non sono questi gli addii – pure ancora tanti: la metà è dovuta a rapporti extramatrimoniali – a spaventare il regime. Con quasi 4 milioni di freschi divorziati contro i 12 milioni di novelli sposi, in discesa per il secondo anno consecutivo, la preoccupazione vera è un’altra: la decrescita, demografica ed economica. La diminuzione dei matrimoni è anche colpa di 35 anni di figli unici. Metteteci poi quello che il
New York Times chiama “il surplus degli uomini”, data l’atavica tendenza delle famiglie cinesi a non sperare che sia femmina, metteteci la tendenza dei Millennials a mollare tutto perché stanchi delle intrusioni dei genitori di lei o di lui (15% delle cause dei conflitto, confessione inimmaginabile nella Cina patriarcale di pochi anni fa) e i conti sono fatti. Ma se ci si sposa di meno e si divorzia di più, si faranno ancora meno figli: e chi finanzierà allora la crescita, adesso che il “socialismo dal volto cinese” ha deciso di puntare sui consumi delle famiglie, che in Cina oggi contano appena per il 34 % dell’attuale Pil, contro il 61% del Giappone e almeno il 68 % degli Usa? Ecco: fermare l’ennesima “nuclearizzazione” della famiglia cinese sarebbe già una soluzione. Ma come?
Se al cuore non si comanda, si prova a mettere mano al portafogli, favorendo la formazione di quei “consulenti di famiglia” che stanno facendo affari su affari. «Puntiamo al meglio per la coppia: non diamo certo per scontato che la salvezza del matrimonio sia una scelta migliore del divorzio» dice a China Daily Shi Xiuxiong, titolare dell’agenzia di Shanghai dal promettente nome de “Il Buon Acchiappo”. Il giornale vicino al governo presenta il fenomeno come un fiorire di iniziative private. Eppure proprio il Daily raccontava qualche anno fa che l’Associazione cinese dei lavoratori del sociale, evidentemente parastatale, si preparava ad addestrare un esercito di 10mila consulenti («minimo 35 anni di età e 5 anni di matrimonio alle spalle») per aiutare le coppie «a risolvere le difficoltà matrimoniali e cercare soluzioni alternative al divorzio». Come non vederci, anche qui, la longa manus dello Stato padre e padrone? Contattati da Repubblica, gli specialisti di “Peking Boss”, una delle più quotate compagnie specializzate di Pechino, alla richiesta specifica di un’intervista si sono tirati indietro. Per carità: mestiere complicato, il loro. Ma certamente meno spericolato della missione perseguita dai professionisti di quell’altro business fiorente in questa Cina malata di divorzio: gli “allontanatori di amanti”, veri e propri cacciatori delle donne che starebbero rovinando la vita alle altre donne. Occhio ai numeri: se un consulente matrimoniale viaggia sugli 800 yuan all’ora, cioè circa 100 euro, e l’intervento specialistico prevede dalle 3 alle 8 sessioni da 120 minuti ciascuna, il cacciatore di amanti può guadagnare anche decine di migliaia di euro. La differenza è che i primi appartengono a un albo riconosciuto, i secondi si nascondono nei segreti di Baidu, il Google di qui.
E ti pareva, dunque, che in un clima del genere non spuntasse la caccia ai cattivi maestri? L’insostenibile leggerezza del divorzio viene ascritta proprio alla nefasta influenza dei social, malgrado l’ombra della Grande Muraglia Virtuale si estenda ormai su mezza Internet. Perché non è solo sugli occidentali Facebook e Twitter, rigorosamente vietati, che viaggia il cattivo esempio. Perfino il vecchio Quotidiano del Popolo qualche tempo fa si è tuffato in un dibattito su Weibo, il microblogging da 200 milioni di iscritti, per rilanciare le accuse degli internauti che davano alla facilità degli incontri online il proliferare delle separazioni.
Sarà. O sarà che anche in questo la Cina è più vicina di quanto pensiamo. Mentre noi ci attacchiamo alla telenovela Brangelina, il Brad Pitt e l’Angelina Jolie di qui si chiamano Zhou Yahui e Li Qiong. Due eroi del nostro tempo. Diventati ricchissimi con l’azienda di coppia, la compagnia di giochi online Kunlun, lui ha deciso di licenziare lei dalla (sua) vita e dalla (loro) società. Costo dell’operazione? Sette miliardi e mezzo di yuan, circa un miliardo di euro, il divorzio più caro della Cina. Per la cronaca, l’ultimo titolo che il magnate separando ha acquistato da Hollywood, da trasformare ovviamente in videogioco, ha un nome che sembra un programma: Terminator. La guerra al divorzio è appena cominciata: riusciranno i padroni di Pechino a sconfiggere un nemico così?
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L’impegno della parastatale Associazione dei lavoratori del sociale che addestra un esercito di 10mila consulenti per aiutare le coppie La percentuale degli addii continua a salire ininterrottamente dal 2003 E porta al primo stop in un quarto di secolo nell’espansione del Pil