sabato 1 ottobre 2016

Repubblica 1.10.16
Un errore festeggiare per i guai tedeschi
di Francesco Manacorda

IERI mattina la Deutsche Bank, la più grande banca del più forte Paese europeo, ha suonato la sveglia alle Borse di tutta Europa con un calo del 9 per cento, diffondendo brividi di panico e ribassi in tutto il continente. Ieri sera ha augurato la buonanotte alle stesse Borse con un rialzo finale di quasi l’8 per cento. Quello che è successo non solo è difficilmente comprensibile, ma non può essere — anche in Italia, il Paese del Monte dei Paschi di Siena e delle tante debolezze bancarie — fonte di troppa soddisfazione.
COSA è successo, innanzitutto? In poche parole le vendite hanno cominciato a fioccare quando si è diffusa la voce che alcuni fondi stavano levando i loro soldi dalla banca tedesca perché preoccupati della sua situazione patrimoniale; poi si sono attenuate quando i manager di Deutsche Bank hanno rassicurato i mercati; infine il rialzo quando sono trapelate voci che una multa da 14 miliardi di dollari inflitta dalle autorità Usa alla banca potrebbe essere ridotta a poco più di 5 miliardi.
La prima e istintiva reazione guardando il caso da sotto le Alpi potrebbe essere quella di gioire perché anche una grande banca dell’inflessibile Germania deve affrontare la navigazione tra i marosi di Borsa e gli scogli dei bilanci che non convincono. I problemi europei non sono solo Unicredit e Montepaschi, verrebbe da dire. E la Germania, che in questi mesi in cui l’Italia ha cercato a Bruxelles soluzioni per le sue banche in difficoltà è stata decisamente attenta a che le regole europee fossero rigorosamente rispettate — anche evitando qualsiasi intervento pubblico — non potrà che giovarsi di un bagno di umiltà finanziaria e di riflesso politica.
Ma questa schadenfreude nei confronti di Berlino, il termine per l’appunto tedesco che ieri è stato ampiamente evocato e che esprime il piacere provato per le disavventure dei propri amici — in fondo chi ne è davvero esente? — sembra oggi un atteggiamento miope. L’Italia può godere delle sventure di una banca tedesca e delle insistenti voci della necessità di un intervento pubblico del governo di Angela Merkel e può anche augurarsi che questo serva a rendere meno dogmatiche alcune posizioni ed eviti accanimenti ideologici dei Paesi del Nord contro quelli del Sud. Per capire la battaglia che si sta giocando bisogna però alzare lo sguardo dall’Italia, e anche dall’Europa, per osservare quello scenario globale dove ormai si svolge gran parte dell’azione. E lo sguardo lungo svela che dopo la crisi del 2008, che esse stesse hanno innescato, le banche statunitensi sono riuscite a rimettersi in forze meglio di quanto abbiano fatto quelle europee e adesso stanno cercando di imporre regole che sarebbero svantaggiose per i nostri istituti.
Non è un caso se appena tre giorni fa il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis — uno che in Italia siamo abituati a vedere come un accigliato censore della nostra situazione bancaria e non — abbia invece detto di no a regole « che richiedano un significativo aumento dei requisiti di capitale sostenuti dal settore bancario europeo» . Si rivolgeva proprio agli americani, che da tempo vorrebbero modificare le regole del Comitato di Basilea sulla supervisione bancaria — una specie di Nazioni Unite delle norme sul credito — per adattarle maggiormente ai loro criteri. Un’Europa più unita, o per essere realisti meno disunita, anche in questo settore avrebbe probabilmente qualche opportunità in più di evitare regole penalizzanti per le sue banche. Quelle italiane, è lecito augurarsi, come quelle tedesche.