Repubblica 19.10.16
Baci e abbracci per tutti ma il dinner non sposta voti
Gli ospiti d’onore le first lady e l’orto
di Vittorio Zucconi
Entusiastico
baciatore all’ italiana, che ha costretto anche la First Lady Michelle e
l’allampanato John Kerry a piegarsi per ricevere da lui il bacetto
sulle guance, Matteo Renzi si è gustato lo show alla Casa Bianca con
l’evidente felicità di un fanciullo accolto nel massimo Paese dei
Balocchi politici.
Può darsi che questo sia il suo ultimo viaggio
ufficiale a Washington, se gli andasse male il referendum, ma il
giovanotto di Rignano sull’Arno che dallo scoutismo e dalla Ruota della
Fortuna è arrivato fino al portico della Casa Bianca, nel luogo della
Storia dove tutti i grandi della Terra sono apparsi e si strinsero la
mano anche nemici mortali come Rabin e Arafat, era visibilmente deciso
ad assaporare il momento. A gustarselo anche più degli agnolotti di
Mario Batali.
La Washington d’ottobre, sempre il mese più luminoso
e piacevole in questa città sospesa tra Sud e Nord, si era vestita da
festa per l’ospite italiano, gentile, ma sempre un po’ cinica, avendo
visto troppi sorrisi e ascoltato più promesse di amore eterno di una
spiaggia estiva per farsi impressionare. Ma se le parole sono state
quelle che i muri bianchi hanno ascoltato da quando Alcide De-Gasperi
dovette promettere a Harry Truman la fedeltà atlantica per rompere il
clima gelido che lo aveva accolto, l’entusiasmo festoso e poi il
coraggioso inglese di Matteo Renzi sono stati una novità allegra.
C’era,
sia da parte di Obama che sta vivendo il crepuscolo della propria
avventura politica al massimo della popolarità, sia da parte di Renzi,
che si divincola al minimo del favore popolare, una curiosa atmosfera di
spensieratezza informale. Un tono da rimpatriata che neppure i completi
d’ordinanza dei due uomini, Matteo in completo blu notte da esame di
Maturità Classica circa 1960 e Barack, con cravatta girgioperla un po’
da concertista jazz alla Carnegie Hall, riuscivano a ingessare. Anche il
momento di ansia che circondava lo speech e che la signora Agnese
nascondeva con eleganza nel suo abito di pizzo verde, si è dissolto, di
fronte alla dignitosa fluidità dell’inglese che il nostro presidente del
Consiglio aveva preparato con cura maniacale.
Una cura pari alla
pronuncia di quel “Patti Chiari, Amicizia Lunga” detto da Obama
nell’italiano fonetico scritto nel suo foglietto in “Pahttee Keeahreee,
Ameeceetzeeah Loongah”, per sottolineare l’immancabile riferimento alla
granitica solidità dell’alleanza settantennale fra le due nazioni. Nel
sollievo di chi ricordava momenti tragici del passato, il Mister
President si è potuto risparmiare quel “Lei parla un ottimo inglese”
concesso da George Bush a Silvio Berlusconi che aveva crudelmente
trucidato la frasetta in inglese preparata a Camp David.
Sembrava,
fuori dall’ ingombrante interesse degli Stati Uniti alla vittoria del
Sì al referendum, che i due uomini si trovassero reciprocamente
simpatici. Che la sfrontatezza di Renzi, tanto diverso dalla processione
di intraducibili mandarini che arrivavano, parlavano e poi scomparivano
inghiottiti nel gorgo della politica romana, che la sua giovane età,
vicina alla giovinezza di Barack e Michelle quando in quella Casa
entrarono, li avvicinasse e li mettesse di buonumore.
Non un solo
voto sarà spostato da questo incontro, che i media americani hanno
trattato come un evento di mondanità glamour. La politica estera, i
summit, le cene di Stato, non fanno vincere elezioni, non negli Usa, non
in Italia. Ma possono produrre figure barbine. Almeno questa volta, non
ne abbiamo fatte. Può bastare.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Lo
sbarco dall’aereo di Stato di alcuni tra gli invitati d’onore italiani
alla cena della Casa Bianca: Roberto Benigni con la moglie Nicoletta
Braschi, Bebe Vio e Raffaele Cantone
Passeggiata nell’orto della
Casa bianca per Michelle Obama e Agnese Renzi, che assistono alla
performance di ballo di un gruppo di bambini della scuola elementare
Savoy di Washington.