Repubblica 19.10.16
L’amico americano e il vuoto a Roma
di Stefano Folli
IL
VOTO di fiducia dell’amministrazione Obama nei confronti di Renzi —
come lo ha definito il Washington Post — non sorprende nessuno.
ERA
lo scopo del viaggio a Washington ed è stato raggiunto. Voto di fiducia
al partner italiano che resta un alleato cruciale (specie oggi che è
“in difficoltà”, ha scritto il Financial Times) e debito saldato verso
Roma da parte del presidente uscente.
L’Italia lo merita, agli
occhi degli Stati Uniti. È il gioiello più luminoso della corona, si
sarebbe detto un tempo. In Libia, nel Mediterraneo, in Afghanistan,
domani nel Baltico: non c’è quasi teatro di crisi in cui il governo di
Renzi, in continuità peraltro con i suoi predecessori, non abbia
affiancato Washington. E se l’Europa scricchiola, rivelandosi incapace
di affrontare le asprezze della nostra epoca, ecco che a maggior ragione
gli americani guardano all’Italia, desiderosi di rafforzare la
partnership bilaterale. Il sostegno al Sì referendario era dunque
scontato da prima che l’aereo di Renzi atterrasse sul suolo americano.
L’enfasi con cui è stato ribadito ha invece qualcosa a che fare con
l’imminente uscita di scena di Obama, quindi con l’ultima opportunità di
gratificare un amico fedele, forse anche con la volontà di sostenere
indirettamente Hillary Clinton: un premier italiano alla Casa Bianca, in
un tripudio di tricolori, è un messaggio indiretto ma molto chiaro
all’elettorato italo-americano che andrà a votare fra tre settimane.
S’intende,
l’abbraccio al presidente del Consiglio italiano è di natura tutta
politica, non ha molto a che fare con il merito delle riforme, pur
elogiate da Obama. Nel momento in cui si decide che prioritaria è la
stabilità in Italia, secondo una linea che non è mai cambiata dai tempi
di Truman a oggi, nonché il rafforzamento del legame fra Roma e
Washington, il resto passa in seconda linea. Il “pacchetto” delle
riforme economiche e istituzionali illustrate dall’ospite italiano è
accettato a scatola chiusa, quel che conta è la solidità dell’amico che
siede a Palazzo Chigi, interlocutore affidabile e ormai ben conosciuto.
Sotto questo aspetto, la visita di Renzi è un successo, peraltro
ampiamente previsto. Ha poco senso domandarsi se si tratti di
un’ingerenza americana, secondo un percorso polemico che data dal
gennaio 1947, quando De Gasperi compì il suo famoso viaggio nella
capitale dei vincitori della Seconda Guerra e avviò la ricostruzione
dell’Italia, ricollocandola nell’Occidente avanzato.
Il mondo è
assai cambiato da allora e se le accuse di ingerenza avevano poco senso
allora, ne hanno ancora meno oggi. Vale a dire quando al posto del Pci
filo-sovietico ci sono gli esponenti dei movimenti anti-sistema,
l’opposizione grillina e anche leghista: un fronte euroscettico e in
qualche sua frangia filo-Putin. Una miscela che di sicuro piace poco a
Washington e spinge a puntellare Renzi al di là dei suoi meriti e
persino dei suoi demeriti.
Non a caso il punto più politico
dell’intervento di Obama è nella frase in cui si chiede all’amico
italiano di restare al suo posto anche in caso di vittoria del No. E si
capisce: né gli Stati Uniti né le cancellerie europee, tantomeno i
vertici istituzionali in Italia ai massimi livelli, desiderano che si
apra un pericoloso vuoto a Roma. In altre parole, l’appoggio al Sì
referendario non significa che in America qualcuno condivida la visione
apocalittica — e propagandistica — di chi annuncia terremoti se il No
prevalesse nelle urne. Giocare con la prospettiva di un terremoto
italiano non piace nelle capitali del mondo occidentale e Obama lo ha
detto chiaramente. Del resto, l’infelice esito dell’appoggio a Cameron
in occasione del referendum sulla Brexit, dimostra quanto siano
insidiosi certi interventi. Per cui è tutto da dimostrare che il viaggio
in America e l’aiuto dell’amministrazione si risolvano in un vantaggio
per Renzi sul piano dei consensi. Forse sì, ma è presto per averne la
certezza.
Viceversa, è chiaro che per Washington è importante la
stabilità a Roma con il Sì o con il No. Di preferenza con il Sì, è
ovvio, purché la battaglia elettorale non diventi un “boomerang”. Nel
momento in cui si prepara a tornare alla vita privata, Obama non vuole
un’Italia più fragile e incerta. E quindi lascia intendere che anche con
la vecchia Costituzione, durata circa settant’anni, è possibile
governare e onorare le proprie responsabilità nella Nato. In fondo, è
quello che l’Italia della Prima Repubblica ha fatto per tanti decenni.