Corriere 19.10.16
L’appoggio degli americani e la prudenza del Pd: può diventare un boomerang
di Francesco Verderami
Nel
momento più basso dei suoi rapporti con Bruxelles, Renzi vive il
momento più alto dei suoi rapporti con Washington, e per auto-difesa
l’Europeismo fa spazio all’Atlantismo. D’altronde, quanto accaduto ieri
alla Casa Bianca non ha precedenti. Nemmeno George W. Bush — che pure
alla vigilia delle elezioni in Italia del 2006 aveva offerto a
Berlusconi il palco del Congresso americano — si era spinto in un
endorsement per l’«amico Silvio» simile a quello fatto da Barack Obama
per l’«amico Matteo».
Certo, nei palazzi della politica romana
tutti sapevano che il presidente statunitense avrebbe dato il suo
appoggio a Renzi, alla vigilia della sfida referendaria di dicembre. Ma
nessuno — nell’opposizione come nella maggioranza — immaginava che Obama
non solo si sarebbe speso in un sostegno così netto e circostanziato a
favore della riforma costituzionale, ma sarebbe addirittura arrivato a
lambire le colonne d’Ercole della diplomazia, soffermandosi sulle
dinamiche interne italiane, «consigliando» a Renzi di restare comunque
al suo posto, anche se la riforma venisse bocciata.
Ecco la
novità, il confine che i più importanti partner europei — per quanto
schierati con il capo del Pd — avevano mai varcato. Può darsi che Obama,
da leader dell’Occidente, abbia voluto sostenere Renzi nel complicato
gioco dei rapporti di forza con le cancellerie del Vecchio Continente,
con le istituzioni comunitarie, magari con i mercati finanziari. E per
quanto prossimo a lasciare la Casa Bianca, abbia anticipato anche la
linea della prossima Amministrazione, se dovesse vincere Hillary
Clinton.
Ma inevitabilmente l’iniziativa ha provocato la reazione
delle forze di opposizione in Italia, che in forme diverse hanno
criticato Obama fino a denunciare una sua «ingerenza nella politica
interna». E c’è un motivo se persino il Pd ha voluto subito attenuare
gli effetti nazionali dell’endorsement americano, se il ministro
Graziano Delrio ha sottolineato che «i cittadini italiani voteranno con
la loro testa e il loro cuore», e «quindi» le parole di Obama «non
cambieranno le sorti del referendum». È come se si avvertisse il timore
di un effetto boomerang sull’opinione pubblica, a cui si è rivolta la
Lega denunciando di fatto una «violazione di sovranità».
Si vedrà
se le opposizioni cavalcheranno questa linea, già adottata dal «fronte
del No» dopo la sortita a favore delle riforme dell’ambasciatore
americano a Roma. Nel caleidoscopio di posizionamenti, si va dallo
«scandalo» per «scambio di favori militari» sollevato dai Cinque Stelle,
fino all’approccio — solo all’apparenza più morbido — di Berlusconi,
che vede un «premier non eletto» cercare una «legittimazione» anche
internazionale con il voto sulla riforma costituzionale.
Il
rischio del cortocircuito interno è evidente. Perché un conto è
l’incidenza di certe mosse sull’ establishment , altra cosa è l’impatto
sui cittadini. I sondaggi spiegano come l’atteggiamento degli elettori
sia decisamente cambiato rispetto al passato, tanto che nemmeno i leader
dei partiti sembrano riuscire a orientare il voto sul referendum. E c’è
poi il precedente nel Regno Unito. Allora Obama si era esposto a favore
di David Cameron e contro la Brexit. Ora, insieme a tutta la sua
amministrazione, muove a protezione di Renzi, considerato dal segretario
di Stato John Kerry «figura centrale in Europa».
Di più. Il
presidente americano mette in relazione la riforma della Costituzione
con la ripresa dell’economia, in netta controtendenza rispetto — per
esempio — a Mario Monti, uomo di forti relazioni internazionali. È uno
spaccato di un mondo sempre più interdipendente, dà l’idea che sul
referendum si confrontino interessi contrapposti. Anche se il 4 dicembre
voteranno solo gli italiani.