Il Sole 19.10.16
Roma «forza» sui conti, al via una trattativa tutta politica
di Dino Pesole
Ora
che il Documento programmatico di Bilancio, in sostanza il testo di
sintesi in cui sono riassunte cifre e linee di azione della manovra
2017, è formalmente sulle scrivanie dei tecnici di Bruxelles, si precisa
meglio l’oggetto del contendere e l’entità dello scostamento che va
profilandosi. Il problema non è tanto l’aver collocato l’asticella del
deficit nominale al 2,3%, contro l’1,8% previsto a maggio e il 2%
indicato dalla Nota di aggiornamento del Def (la Commissione Ue aveva
sostanzialmente concordato il 2,2%), quanto la violazione dell’altro,
fondamentale parametro cui guardano le regole europee: il deficit
strutturale, in poche parole il saldo di bilancio annuale depurato dagli
effetti del ciclo economico e delle una tantum. Su questo indicatore,
per la verità ora in via di revisione, si misura il giudizio della
Commissione, e le conseguenti richieste/raccomandazioni rivolte ai
singoli paesi. Tanto che la palese violazione del timing di riduzione
del saldo in direzione dell’«obiettivo di medio termine» (il pareggio di
bilancio) potrebbe indurre Bruxelles a rispedire al mittente la legge
di Bilancio, con annesse richieste di modifica. Il passo successivo, in
caso di mancata correzione, potrebbe sulla carta aprire la strada a una
procedura d’infrazione.
Ebbene, con il Dpb il Governo certifica la
decisione di non coprire con tagli o maggiori entrate circa 6,5
miliardi (pari allo 0,4% del Pil) di spesa aggiuntiva che nel 2017 viene
ascritta a due circostanze eccezionali: i costi dell’accoglienza dei
rifugiati e quelli per gli interventi di emergenza diretti alle zone
terremotate, cui si aggiungono i costi della ricostruzione e della messa
in sicurezza degli edifici. Non coprire queste nuove spese equivale a
finanziarle di fatto in deficit. La linea seguita dal Governo, su input
esplicito di Palazzo Chigi, è che trattandosi di eventi eccezionali, le
relative spese non rientrano nel calcolo del deficit. Nel consegue – e
qui siamo al punto di frizione con Bruxelles – che stando alle tabelle
allegate al Dpb - il deficit strutturale del 2017 passa da -1,2% a -1,6
per cento, mentre per il 2016 viene confermata quota -1,2 per cento.
Detto in altri termini, la mancata copertura di questo 0,4% aggiuntivo
di maggiori spese va ad impattare direttamente sul saldo strutturale di
bilancio. Con quali conseguenze nel confronto in atto con la Commissione
Ue? Occorre esaminare la questione dal doppio versante tecnico e
politico. Dal punto di vista strettamente tecnico/contabile, l’Italia
risulta inadempiente, poiché l’impegno era di ridurre il deficit
strutturale del 2017 di almeno lo 0,1% del Pil, a fronte di un
peggioramento dello 0,7% del saldo nell’anno in corso. Il rigido
rispetto dell’attuale disciplina di bilancio imporrebbe ai paesi ad alto
debito di ridurre peraltro il deficit strutturale dello 0,5% del Pil
ogni anno, fino al conseguimento del pareggio (Bruxelles la scorsa
primavera ha chiesto un taglio dello 0,6 per cento). Ora il Governo non
solo non riduce il deficit strutturale se pur dello 0,1%, ma lo aumenta
dello 0,4 per cento.
Dal punto di vista politico, la questione
assume contorni diversi. È la linea di Matteo Renzi: poiché l’Italia di
fatto non ha avuto alcun sostegno dall’Europa nella gestione
dell’emergenza migranti, allora il Governo si autoattribuisce una sorta
di implicito diritto/dovere a forzare sulle regole europee. Il dettaglio
è nella parte del Dpb dedicata proprio agli «eventi eccezionali»: 0,16%
del Pil in più nel 2017 per l’emergenza rifugiati (in sostanza la prima
accoglienza), cui si aggiunge lo 0,02% per la gestione dei flussi.
Quanto al terremoto del 24 agosto scorso, in aggiunta agli interventi di
prima emergenza «già considerati una tantum», vanno calcolati appunto i
costi della «protezione del territorio nazionale». Il tutto vale circa
lo 0,3% del Pil, e spinge il totale delle spese per eventi eccezionali
allo 0,5 per cento, con un impatto dello 0,4% sul deficit strutturale,
con il deficit nominale che sale al 2,3 per cento. È lecito attendersi
un confronto serrato con Bruxelles sul versante delle “one off”, poiché
finora la linea della Commissione si è basata sul riconoscimento solo
dei costi relativi agli interventi di prima emergenza, e non delle spese
strutturali, pluriennali per la messa in sicurezza degli edifici. Alla
fine, si individuerà una soluzione di compromesso, tutta politica, ma la
strada al momento appare per buona parte in salita.