domenica 16 ottobre 2016

Repubblica 16.10.16
La Cina accorpa i due colossi della chimica
ChemChina, proprietaria in Italia di Pirelli, tratta con Sinochem e lancia la sfida ai big
di Angelo Aquaro

PECHINO. C’è un pezzetto d’Italia nell’accordo stramiliardario che darà vita in Cina al gigante dei giganti, com’è già stato battezzato il colosso che emergerà dalla fusione tra ChemChina e Sinochem. Peccato, però, che l’Italia conti assai poco. I termini dell’intesa non sono stati ancora resi noti ma basta guardare alla struttura delle due aziende per scoprire che in gioco ci sono 100 miliardi di dollari. Sinochem ha un giro d’affari di 57 miliardi, ChemChina di 55. Lo sposalizio farà un botto, ma ancora nulla in confronto ai conti del big del settore, la francese Total: 224 miliardi di giro d’affari, praticamente il doppio. Quante merger & acquisitions ci vorranno prima che la Cina la superi in volata?
Nell’operazione non c’è ancora nulla di ufficiale e neppure nulla di smentito. Ma i dubbi sono pochi. Questo matrimonio s’ha da fare perché il colosso cinese della chimica e del petrolio, cioè Chem-China, e il gigante cinese dei fertilizzanti e di tutto quanto serve nel campo, appunto, dell’agricoltura, cioè Sinochem, sono due dei figliocci prediletti dello Stato. Dall’America all’Europa le agenzie antitrust sarebbero pronte ad alzare la voce: qui, al contrario, tra un po’ si festeggia. E chi se ne importa se il drastico ridimensionamento della concorrenza farà impennare i prezzi nel resto del mondo: vorrà dire che entreranno ancora più quattrini nelle casse delle SOE, le State Owned Enterprises, come le società proprietà dello Stato vengono chiamate dagli stessi cinesi nei contratti in lingua inglese. Prezzi più alti, ricavi più alti, e più soldi da spendere in nuove acquisizioni.
Basta guardare nella lista della spesa che in questi anni ha compilato Chem-China: i tedeschi di KraussMaffei, i francesi di Adisseo, i norvegesi di Elkem. È una storia che riguarda anche noi visto che la Pirelli di Marco Tronchetti Provera è stata ingoiata per il 65% proprio da ChemChina. Quel che resta dell’impero Bicocca è barricato nel 22% rappresentato da Camfin, l’ultima finestra per portare altri investitori nel nocciolo duro si è aperta proprio ieri, poi se non c’è intesa la parola va direttamente ai nuovi padroni: e sarà ChemChina a scegliersi i partner da buttare dentro.
Più complicato capire invece che cosa succederà con gli svizzeri di Syngenta. Dopo il via libera dell’antitrust Usa toccherebbe a noi europei dire se s’ha da fare anche questo matrimonio da 43 miliardi di dollari. I cinesi hanno ovviamente deciso. L’ha detto il presidente Xi Jinping in persona: crescete e compattatevi, crescete e moltiplicatevi. Subito obbedito: dal 2014 a oggi, un miliardo di dollari di asset messi in movimento dalle aziende vicine allo stato vorrà pure dire qualcosa.
L’ultima incognita da chiarire saranno i ruoli dei leader. Certo sarà Sinochem ad avere l’ultima parola nella coppia: le sue azioni sono più numerose e pesano di più. Ma chi comanderà davvero il gigante dei giganti? È il problema della leadership. Ren Janxin è l’uomo che finora ha gestito l’esercito dei 140 mila di ChemChina. Frank Nin è stato in tutti questi anni il sergente di Sinochem. Si sono formati entrambi alla scuola del capitalismo di stato: e di certo ciascuno dei due saprà apprezzare senza fare troppe storie la scelta finale che su di loro farà Pechino. Tanto si sa chi comanda davvero: la Commissione per la supervisione e la revisione degli affari. Cioè lo stato, cioè il partito. Che come ha detto proprio l’altro giorno Xi, dev’essere considerato senza mezzi termini il padrone vero. Alla faccia di tutti i pezzetti d’Italia.