Il Sole Domenica 16.10.16
Nazismo
La «cultura» della purezza razziale
La
 concezione che portò allo sterminio di massa fu attuata non solo da 
Hitler e dal partito, ma da una foltissima schiera di dotti giuristi, 
scienziati, medici, teologi e giornalisti
di Emilio Gentile
Nel
 1945, diciotto medici tedeschi di un ospedale pediatrico furono 
processati dal tribunale di Amburgo, su iniziativa delle truppe di 
occupazione britanniche, perché accusati di aver assassinato con 
iniezioni letali cinquantasei bambini malati. Il direttore dell’ospedale
 respinse l’accusa di «crimine contro l’umanità» perché tale crimine, 
disse agli inquirenti britannici, «non può essere commesso che contro 
uomini, mentre gli esseri viventi di cui dovevamo occuparci non possono 
essere qualificati come “esseri umani”». Cinque anni dopo, i giudici 
assolsero gli imputati affermando di «aver creduto alla legalità dei 
loro atti».
Inizia con questo episodio un’ampia indagine dello 
storico francese Johann Chapoutot sul modo di pensare e di agire dei 
nazisti, ricostruito con una folta documentazione di oltre milleduecento
 libri e articoli pubblicati durante il regime nazista negli ambiti più 
vari, dai testi ideologici alla letteratura pedagogica, dal diritto alla
 medicina, dalla biologia alla filosofia, dall’antropologia alla storia e
 alla geografia, con l’aggiunta di una cinquantina di film prodotti dal 
Terzo Reich. Dall’indagine, suddivisa per temi, emerge un’elaborata e 
coerente concezione nazista del mondo, che fu messa in pratica durante i
 dodici anni del dominio hitleriano. Il nazismo attuò così una 
rivoluzione culturale oltre che politica, per istituire un diritto, una 
morale, un’etica e una religione esclusivamente tedesche, fondate sulla 
superiorità biologica della razza germanica, e per inculcare nel popolo 
tedesco l’imperativo categorico di preservare la purezza del sangue, che
 era l’essenza della sua superiorità su tutte le altre razze. Milioni di
 tedeschi si convinsero che per preservare l’integrità e la salvezza 
della razza germanica, era necessario eliminare con la sterilizzazione o
 l’eutanasia le persone afflitte da mali ereditari; impedire la 
contaminazione biologica con altre razze; invadere i Paesi dell’Europa 
orientale per conquistare spazio vitale alla razza germanica e 
sottomettere gli slavi come schiavi. E soprattutto si convinsero della 
necessità inevitabile di una spietata guerra razziale contro gli ebrei, 
fino alla loro totale eliminazione, perché da seimila anni l’ebreo era 
il nemico naturale del popolo tedesco, un pericolo mortale per la sua 
purezza e la sua integrità, come il bacillo della tubercolosi per un 
corpo sano e vigoroso.
Per molti decenni dopo la fine del regime 
hitleriano, la concezione nazista del mondo è stata considerata dagli 
storici una paccottiglia di farneticanti elucubrazioni, esibite da folli
 criminali per adornare con arcaici miti una sfrenata libidine di 
potere, che alla fine si sfogò con una barbarica guerra di conquista e 
con il sadico sterminio organizzato di oltre cinque milioni di ebrei. La
 follia, la barbarie, il sadismo apparivano motivi sufficienti per 
spiegare storicamente la criminalità del nazismo, alimentata anche 
dall’avidità di un capitalismo imperialista che per due volte nell’arco 
di trent’anni aveva tentato di dare l’assalto al potere mondiale 
provocando due guerre mondiali.
Comune a queste interpretazioni, 
osserva Chapoutot, era la «disumanizzazione dei protagonisti del crimine
 nazista», ma in tal modo, aggiunge, «facendo di loro dei soggetti 
estranei alla nostra comune umanità, noi ci esoneriamo da ogni 
riflessione sull’uomo, l’Europa, la modernità, l’Occidente, insomma su 
tutti i luoghi che i criminali nazisti abitano, dei quali partecipano, e
 che noi abbiamo in comune con loro», confortandoci al pensiero che 
«l’idea secondo la quale noi potremmo condividere qualcosa con gli 
autori di tesi e crimini così mostruosi ci ripugna». Pur se legittima, 
tale ripugnanza ci induce però a eludere questioni fondamentali della 
nostra storia e del nostro tempo, perché le idee della concezione 
nazista del mondo erano solo in minima parte originaria produzione dei 
nazisti: «Né il razzismo, né il colonialismo, né l’antisemitismo, né il 
darwinismo sociale o l’eugenismo sono nati tra il Reno e Memel». Inoltre
 «la Shoah avrebbe provocato un numero molto minore di vittime se non ci
 fosse stato lo zelante concorso di poliziotti e di gendarmi francesi e 
ungheresi», insieme a «innumerevoli nazionalisti baltici, volontari 
ucraini, antisemiti polacchi, alti funzionari e uomini politici pervasi 
da volontà di collaborazione». Come lo furono, in Italia, politici, 
funzionari e intellettuali fascisti.
Vi erano tuttavia movimenti 
culturali tedeschi che fin dall’Ottocento avevano diffuso con 
convinzione le idee sopra citate, e la loro presenza favorì il successo 
della concezione nazista, che dopo il 1933 fu messa in pratica con 
ossessiva tenacia non solo da Hitler e dal partito nazista, ma da una 
foltissima schiera di dotti giuristi, scienziati, medici, teologi, 
ideologi e giornalisti, con l’ausilio del cinema di finzione e del 
cinema documentario. Milioni di tedeschi, sia persone di elevata cultura
 sia gente comune, si convinsero che gli ebrei tramavano da seimila anni
 per distruggere il popolo tedesco, inquinandolo con incroci di sangue e
 con idee disgregatrici, come il cristianesimo, il diritto romano, 
l’individualismo, l’universalismo, l’umanitarismo, il liberalismo, il 
socialismo, il bolscevismo. Queste idee minavano le virtù, la morale, 
l’etica, le tradizioni e l’integrità della comunità germanica.
Fu 
la concezione nazista del mondo, diffusa con martellante, capillare, 
pervasiva propaganda quotidiana, a trasformare milioni di uomini e 
donne, non predestinati alla follia né al crimine, in zelanti esecutori 
della persecuzione e dello sterminio. Ogni tentazione alla pietà fu 
anestetizzata con l’invocazione della necessità di agire con mezzi 
spietati per annientare i nemici della razza germanica che da seimila 
anni tramavano per annientarla.
Conoscere il modo di pensare e di 
agire dei nazisti considerandoli uomini cresciuti e vissuti in contesti 
particolari, con un proprio universo di significati e di valori, è il 
compito proprio dello storico, afferma Chapoutot. Ciò non attenua 
affatto la mostruosità delle idee e dei crimini nazisti: anzi, rende 
ancora più consapevoli della sua gravità, perché nulla esclude che tale 
mostruosità possa ripetersi, con altre idee e in altri contesti, 
nell’azione di altri uomini convinti che essa sia necessaria per salvare
 la propria comunità.
Johann Chapoutot, La legge del sangue. Pensare e agire da nazisti , Einaudi, Torino, pagg. 472, € 32
 
