Corriere La Lettura 16.10.16
E Togliatti lodò la «lotta eroica» contro gli insorti di Budapest
Il
sessantesimo della rivoluzione ungherese offre l’occasione per
discutere lo stato delle nostre conoscenze sul 1956, specie sulle
ripercussioni italiane. È però necessario premettere che alcuni fatti
documentati vengono ignorati, il che ritarda il processo di acquisizione
di una visione complessiva.
Primo esempio: nel libro Un nocciolo
di verità (La Pietra, 1978), poco diffuso e quasi mai citato, l’autrice
Felicita Ferrero testimoniò la presenza a Budapest di Aldo Togliatti,
figlio di Palmiro, durante l’estate del 1956. L’ottimo e recente studio
di Massimo Cirri Un’altra parte del mondo (Feltrinelli, pp. 352, e 18)
richiama la nostra attenzione: in effetti, «Aldino», che soffriva di
gravi problemi psichici, era in cura presso i medici ungheresi. Non è
dato sapere quando esattamente rientrasse in Italia: sembra essere un
segreto ottimamente custodito. È però probabile che la vicenda abbia
svolto un ruolo nella fredda e rabbiosa determinazione con cui suo padre
reagì alla rivoluzione magiara, dapprima invocando e poi festeggiando
la sua repressione da parte delle truppe sovietiche.
Secondo
esempio: in uno studio scrupolosamente documentato e mai citato, Oro da
Mosca (Mondadori, 1999), Valerio Riva e Francesco Bigazzi pubblicarono
un documento che dice molto, il cui originale si trova nell’archivio
moscovita chiamato Rgani: una «nota spese» datata 4 dicembre 1956 di
Boris Ponomariov, responsabile Pcus dei rapporti coi partiti fratelli,
in cui si sottoponeva all’approvazione di Krusciov e compagni
l’elargizione di due milioni e mezzo di dollari al Pci, la metà al Pcf e
via calando. È evidente che, in presenza di tale documento, la retorica
sui «capolavori» di Togliatti e sulla «via italiana al socialismo»,
consacrata qualche giorno dopo dall’VIII Congresso del Pci, acquisisce
un significato diverso.
Passando agli inediti, è da registrare che
ne manca all’appello almeno ancora uno: il verbale della riunione tra
Krusciov e i dirigenti dei Paesi satelliti svoltasi a fine giugno 1956,
dopo il lungo viaggio effettuato da Tito in Urss, durante la quale
furono comunicate le condizioni appena concordate per la
riappacificazione tra Mosca e Belgrado. Tra queste vi era probabilmente
la rimozione di Rákosi dai vertici ungheresi e forse anche la
riabilitazione di László Rajk, la principale vittima dei processi-farsa
contro il «titoismo», poi avvenuta il 6 ottobre e definita da Togliatti
«una follia». In attesa (probabilmente lunga) che l’archivio
presidenziale russo ridiventi disponibile, è da registrare il verbale
del colloquio tra Togliatti e Kádár, il leader ungherese installato al
potere dai sovietici, svoltosi nel novembre 1957 a Mosca. Oltre a
chiedere l’ormai celebre rinvio dell’esecuzione di Nagy (il primo
ministro portato al governo dalla rivolta di Budapest) a dopo le
elezioni italiane del 1958, il capo del Pci disse di conoscere
quest’ultimo «fin dal 1935 e di non considerarlo una persona seria». Al
termine, Togliatti si congratulò con Kádár per la «lotta eroica» da lui
guidata nel 1956: dal modo in cui è scritto il verbale e dall’assenza di
una risposta, si deduce che questo commento creò comprensibile
imbarazzo.