Repubblica 16.10.16
Il voto per Donald Trump come un reality show
Perché i miei vicini di casa sceglieranno il tycoon
Lo scrittore: “Soffiando sulle paure ha fatto breccia non solo sul Paese profondo ma anche su parte del ceto colto e benestante”
di Joe R. Lansdale.
VOTARE
per Trump vuol dire sentirsi parte di un enorme reality show. Dico sul
serio. É opinione comune di quanti non appoggiano Trump, che coloro che
invece hanno scelto di votare per lui siano redneck, rozzi bianchi del
Sud con 12 denti in tutto sì e no. La maggior parte dei sostenitori di
Trump è registrata sotto la voce “Elettori bianchi non istruiti”,
definizione in codice per indicare gli “stupidi redneck”, quel genere di
persone che conserva la pagella della prima elementare perché va fiero
della sufficienza in condotta presa per il rotto della cuffia.
Tuttavia,
conosco un buon numero di persone che guadagnano bene, sono istruite,
sembrano andare assiduamente dal dentista e malgrado ciò vogliono votare
per Trump. Per me si tratta di qualcosa di sconcertante quanto la
trigonometria. Il fatto è che il sostegno a Trump in Texas - specie
nella mia regione, il Texas orientale - va ben oltre chi è intelligente e
chi non lo è poi tanto, chi è istruito e chi non lo è. Questo sostegno è
il prodotto di quelli che vorrei chiamare stupidi beoti, quelli che
hanno opinioni stupide per scelta, non per mancanza di intelligenza, ma
per una sorta di tribalismo. Secondo loro, i fatti della vita che
interferiscono con la loro visione del mondo devono essere semplicemente
ignorati. È un po’ come mettere un cappello in testa a un maiale e
affermare con insistenza che quel porco da ingrasso è lo zio Frank,
andando contro ogni evidenza.
A questi tipi Trump ha offerto un
pozzo scuro e umido nel quale sbarazzarsi di tutto ciò che li rende
furiosi. In quel pozzo possono felicemente annidarsi, turgide e pronte a
riprodursi come funghi velenosi, anche le opinioni contraddittorie,
visto che Trump cambia opinione assai di frequente e perfino a metà di
una frase. La maggior parte di ciò che Trump rifila a chi lo ascolta non
dovrebbe persuadere neppure un dodicenne distratto, ed è assai
difficile comprendere in che modo un magnate intrallazzatore del settore
immobiliare sia arrivato a rappresentare una persona comune. Tuttavia,
proprio le persone comuni sono quelle nelle quali egli ha fatto maggior
breccia. Indubbiamente, non ci è riuscito per la sua squisita
personalità.
Ha detto cose orribili sulle donne, sulle persone in
sovrappeso (ma non ci sono specchi a casa sua?), sui disabili, su
lesbiche, gay, bisessuali e trans, sui prigionieri di guerra, sugli
ispanici, sugli afro-americani e sui genitori musulmani di un soldato
decorato deceduto mentre difendeva il suo Paese. È un evasore fiscale e
non si sa bene come sia riuscito a presentare le sue perdite finanziarie
e gli abusi del sistema come la prova suprema della sua genialità,
perché lui ha saputo aggirare il sistema. Ha un ente di beneficenza
fasullo, un’università fasulla e, vista la sua preoccupazione per le
dimensioni dell’organo maschile, chissà che non si imbottisca le mutande
di calzettoni. Trump sembra sempre il ragazzino cattivo che si è appena
divertito a picchiare a morte il suo criceto con la gamba di una
seggiola. Ma ai suoi sostenitori non interessa ciò che dice o fa.
Potrebbe avere insane relazioni con un asino agonizzante sul prato della
Casa Bianca: continuerebbero a considerarlo politicamente scorretto in
modo quasi piacevole. Oltretutto, non sarà che quell’asino ha varcato
illegalmente la frontiera dal Messico e si sta beccando quel che si
merita? I sostenitori di Trump hanno deciso di sentire quello che
vogliono sentire e di lasciar perdere tutto il resto. Trump è il mostro
di Frankenstein che i repubblicani hanno rabberciato in tutti questi
anni, e adesso «è vivo!» e scatenato. Nella sua campagna elettorale, in
agosto ha fatto tappa a Austin. L’idea che gli Yankees e le opinioni
liberali stiano distruggendo il Sud, e in questo caso il Texas, è da
tempo al centro della politica conservatrice perché, come disse una
volta William Faulkner, «il passato non muore mai. Anzi, non è nemmeno
passato». Per molti, la Guerra civile potrebbe essere stata combattuta
ieri. È dagli anni Sessanta che i repubblicani si lanciano in campagna
elettorale facendo leva sull’odio per gli stranieri, orde immaginarie di
scrocconi parassiti, o anche solo sull’odio per chi è diverso,
alimentando paure nei confronti delle gang di giovani neri senza fissa
dimora che si aggirano per strada per fare danni, insieme a messicani
invasori che non vogliono nient’altro che guidare ubriachi per investire
innocenti bambini bianchi. Altra paura dilagante è per le donne che
vogliono avere l’ultima parola nei confronti dei loro organi
riproduttivi.
Là fuori c’è una vera e propria giungla, a dar retta
ai repubblicani. In verità, negli ambienti conservatori più semplici,
questa è un’occasione per sentirsi importanti. A guidare questi
individui è la paura. Per molti, però, si tratta di una paura piacevole.
È un’occasione per gli annoiati e i frustrati per giocare ai soldati, è
un modo per giustificare il possesso di tonnellate di armi e munizioni.
Le persone che conosco non fanno che parlare di questo: quanto lontano
si può colpire un bersaglio. Le armi hanno sostituito la religione
texana precedente, il football, e Trump ne è il sacerdote supremo. Trump
e i suoi amiconi ci ribadiscono – senza fatti concreti – quanto è
terribile la criminalità e quanto sono malvagi gli stranieri; e ci
ripetono la falsa informazione secondo cui l’economia è sull’orlo del
collasso e faremmo meglio a costruirci dei bunker e a fare scorte. È un
mondo atterrito che tanti repubblicani sentono di poter tenere sotto
controllo. Un luogo nel quale chi ha i denti e chi non li ha, chi ha
un’istruzione e chi ne è privo, sarà contento, nel giorno delle
elezioni, di tirare la leva e mettere in moto la Grande Zucca.
(Copyright Joe R. Lansdale 2016. Questo articolo è stato pubblicato sul Texas Observer. Traduzione di Anna Bissanti)