Repubblica 16.10.16
“Con Roma i patti erano diversi” Bruxelles spiazzata minaccia di mettere l’Italia sotto accusa
Disavanzo in crescita per effetto delle misure varate e la Commissione Ue avverte: cambiate o scatta la procedura di infrazione
di Alberto D’Argenio
ROMA.
«Se Renzi non abbassa il deficit entro 15 giorni la manovra verrà
respinta e l’Italia finirà subito in procedura per debito e deficit ».
Raramente a Bruxelles sono così irritati. E ancor più raramente sono
così espliciti. Ma questa volta - raccontano dietro le quinte i pesi
massimi della Commissione guidata da Jean-Claude Juncker - il governo
italiano ha esagerato. Giudizio soppesato ed espresso a malincuore visto
che tutti a Bruxelles hanno spinto per aiutare il premier in vista del
referendum. Ma questa volta qualcosa è andato storto.
Nel biennio
2015-2016 grazie al lavoro di Juncker l’Italia ha ricevuto 19 miliardi
di flessibilità. Soldi sottratti al risanamento dei conti. In cambio,
nel 2017, Roma avrebbe dovuto portare il rapporto tra deficit e Pil dal
2,4% con cui chiuderemo l’anno in corso all’1,4%. Sedici miliardi di
tagli. Ma a maggio il governo ha ottenuto un primo sconto: ha avuto l’ok
a scendere solo fino all’1,8%, cifra sulla quale Padoan si era
impegnato in una lettera a Bruxelles. Ma in estate, con il Pil 2016 che
ha tradito le attese e il terremoto, Renzi ha aperto un nuovo negoziato
per ottenere ancora più spazio. L’obiettivo del premier era restare
fermo al 2,4% anche l’anno prossimo. Bruxelles nei negoziati riservati
ha accettato subito di concedere il 2%, giustificando lo scarto tra l,8 e
il nuovo target con crescita e inflazione al di sotto delle
aspettative. Ma c’era il problema delle spese straordinarie, le
cosiddette circostanze eccezionali dovute a migranti e sisma. Soldi che
il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, ha stimato in un
ulteriore 0,1%. Un miliardo e seicento milioni. Per il governo dal
valore triplo. Da qui la decisione, presa venerdì mattina prima di
salire al Quirinale in un lungo incontro tra Renzi e Padoan e poi
comunicata a Bruxelles, di salire al 2,3%. E qui iniziano i problemi
sulla manovra che sarà notificata domani alla Ue.
Dal cuore della
Commissione spiegano che i patti erano diversi. «L’accordo raggiunto tra
Juncker, Schulz, Moscovici e Renzi era al 2,2%. Una concessione già
generosamente oltre le regole nonostante l’impegno preso per iscritto da
Padoan a maggio e possibile solo grazie all’impegno di Juncker e
Schulz, visto che Moscovici non sarebbe andato oltre il 2,1%. Ma ora è
troppo, non ci sono margini».
Dunque lo scostamento di appena 1,6
miliardi è la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Che rende
politicamente e legalmente impossibile giustificare la flessibilità di
fronte ai partner e alle altre istituzioni Ue. Se Juncker fino all’altro
ieri si è battuto per aiutare Renzi, ora è costretto a cambiare linea. E
la minaccia giunta a Roma è chiara: «O riportate il deficit al 2,2%
entro il 30 ottobre, oppure la manovra non passerà». Ma non finisce qui.
Bruxelles è pronta, e può farlo, anche a togliere la flessibilità
concessa per il 2015-2016. A quel punto, cancellati i 19 miliardi di
bonus, i conti deraglierebbero e dunque Bruxelles metterebbe subito, a
novembre, l’Italia in procedura d’infrazione (se aspettasse di agire sul
2017 dovrebbe attendere maggio). Una rappresaglia politica durissima
che indebolirebbe in Europa Renzi, esporrebbe l’Italia sui mercati e
darebbe alla Ue un potere di intrusione sulle scelte di politica
economica italiane superiore a quello attuale. Con il rischio sanzioni
sullo sfondo. Eppure gli ambasciatori renziani a Bruxelles sono certi
che alla fine il premier vincerà il braccio di ferro ed eviterà la
bocciatura. Il clima nelle prossime due settimane sarà rovente, la
situazione questa volta è seria, con i numeri che non tornano e i
massimi esponenti delle istituzioni Ue che si sentono traditi.