Repubblica 15.10.16
Come salvarsi dal veleno
di Michele Ainis
INCIUCI
no, un referendum non si presta a compromessi. Rinvii nemmeno, ormai il
4 dicembre è segnato in rosso sul nostro calendario. Tregue niet, per
vincere non devi dare tregua ai tuoi avversari.
PERÒ
un’iniziativa, una mossa per svelenire il clima bisognerà pur
concepirla. Non tanto per l’oggi, quanto per il domani: di questo passo,
chiunque prevalga al referendum sulla Costituzione, ci troveremo senza
Costituzione. Giacché nessuna Carta costituzionale può farsi rispettare
se non appare rispettabile, se non viene accettata nei suoi principi
fondativi. Ed è invece questo il rischio che corriamo: una frattura
sulle regole, che delegittimi al contempo sia la Costituzione vecchia
che la nuova.
Eppure non sarebbe poi così difficile metterci
rimedio. Basta prendere sul serio le accuse (e soprattutto le difese)
rilanciate dai due accampamenti. Dicono gli uni: questa riforma — in sé e
in combinazione con la legge elettorale — rende più fragile la
democrazia italiana, ne abbassa le garanzie, v’imprime una curvatura
autoritaria. Ribattono gli altri: non è vero, semmai è il vostro
atteggiamento che inocula un veleno, trasformando la Costituzione in una
salma, anziché in un corpo vivo. Rifiutare le riforme è come privare di
medicine un ammalato; ma i vivi prima o poi s’ammalano, soltanto i
morti non hanno più malanni.
In questo contenzioso ciascuno
indossa a turno i panni dell’imputato e del pubblico ministero, sicché
ogni arringa difensiva si trasforma in un capo d’imputazione. Di
conseguenza le parole si moltiplicano, rimbombano in tv, diventano
rumore, suono incomprensibile. Servirebbero piuttosto fatti,
comportamenti concludenti. Dal fronte del No, anzitutto: nega d’essere
inchiodato a una visione immobile, conservatrice. E aggiunge che
accetterebbe altre riforme, diverse dal menu cucinato dal governo Renzi.
Quali, di grazia? Mantenendo il bicameralismo paritario oppure
superandolo? E se del caso, mantenendo pure il Cnel? Nonché l’abuso dei
decreti, che la riforma cerca d’arginare? Quanto alla legge elettorale,
quale sistema in luogo dell’Italicum?
Vattelappesca: le idee dei
partiti d’opposizione sono in opposizione l’una all’altra. Sarebbe
bello, viceversa, leggere un progetto congiunto di riforma, con le firme
in calce di D’Alema e di Brunetta, di Grillo e di Salvini. Oppure tanti
progetti per interventi chirurgici, puntuali, magari recuperando
qualche capitolo della riforma Renzi. L’opposizione dimostrerebbe, così,
di non avere in testa una folla di pensieri spettinati. E che il 5
dicembre la vita costituzionale ricomincia, anche se vince il No.
A
loro volta, i partiti del Sì hanno una responsabilità ben superiore.
Perché sono maggioranza in Parlamento, perché se ne presume la coesione
(altrimenti non avrebbero approvato la riforma), perché dunque sono in
grado di dispensarci qualche concreta iniziativa. La revisione
dell’Italicum, tanto per cominciare. Sgombrerebbe il campo dai sospetti
d’autoritarismo, dal «combinato disposto» che fin qui ha combinato
un’indisposizione collettiva. Infatti se ne sta parlando, ma ancora una
volta non c’è un testo, c’è solo un pretesto, un’ammuina. In secondo
luogo, la legge elettorale del nuovo Senato: un mistero gaudioso, da cui
però dipenderà la sua qualità democratica, quindi la sua auctoritas, il
suo peso complessivo. Sarebbe troppo chiedere alla maggioranza
un’anticipazione o un’intenzione, invece di farci giocare a indovina
indovinello?
E c’è infine lo statuto delle opposizioni, tanto più
urgente in quanto dovrà compensare, con una garanzia ulteriore, la
garanzia perduta del bicameralismo paritario. Sennonché la riforma
rinvia a un’altra riforma, quella dei regolamenti parlamentari. Peraltro
già avviata alla Camera nel 2013, abortita nel 2015. Ma se non altro
quest’ultima vicenda ci impartisce una lezione: se rinvii troppo il
parto, rischi d’uccidere il bambino.