il manifesto 15.10.16
Machiavelli e Tocqueville votano No
di Michele Prospero
Le
bocche di fuoco dell’economia, della finanza, dell’impresa, delle
tecnocrazie europee, persino i vertici dell’Inps, hanno enfatizzato il
significato distruttivo che avrebbe il trionfo del no. Neppure la
riesumazione del fantasma della repubblica dei soviet avrebbe ricevuto
una delegittimazione così definitiva dalle agenzie del capitale.
Il
bello è che i populisti al potere si sbracciano per dire che «con il no
nulla cambia». E poi però, proprio alla vittoria dei gufi,
attribuiscono dei mutamenti radicali di sistema che abbracciano la
politica e l’economia. Gli elettori potrebbero sentirsi tentati dalla
liberatoria opportunità di far saltare i brutti giochi dominanti.
A
prendere in parola i poteri forti basta un No per dare l’assalto alle
oligarchie e sconfiggere i registi dell’esclusione sociale, della
contrazione della democrazia. Assaporando il colpo amaro della batosta,
Renzi recupera una fissazione di Berlusconi e dice che chi è contro le
sue riforme è spinto dal puro sentimento di odio (dovrebbe sapere che
«farsi odiare non tornò mai bene ad alcuno principe»). C’è spazio per
l’odio in politica?
Una delle coppie centrali nella analisi
politica di Machiavelli è proprio lo scontro tra l’ambizione e l’odio.
Alla volontà di potenza dei capi, che cercano di accumulare il dominio
saltando ogni resistenza degli ordini e sfidando l’apertura al consenso,
corrisponde una reazione dei molti, che cercano di preservare gli spazi
di libertà e le occasioni di iniziativa popolare.
In questo
scontro di civiltà politica che oggi si verifica tra la volontà di
potenza di una cricca di provincia e le appannate risorse della
partecipazione di una moltitudine, che si attiva per preservare la
fondazione democratica degli istituti parlamentari, si è creato una
eterogenea coalizione che i governanti chiamano «l’armata brancaleone».
Contro
l’arroganza del comitato d’affari toscano si è realizzata una regola
della politica. Tocqueville così la precisava: «In politica la comunanza
degli odi costituisce quasi sempre la base delle amicizie». E la
rottamazione, brandita da Renzi come una ideologia mistificante per
estirpare la vecchia guardia, ha coagulato una infinità di odi che non
aspettano altro che la dolce vendetta di dicembre.
Non basta però
il giusto sentimento di odio coltivato dai ceti politici più
responsabili, quelli decapitati dall’ignoranza sovrana oggi chiusa nel
palazzo, per abbattere un pernicioso sistema di potere che cerca nel
plebiscito la via del consolidamento. Per vincere bisogna tradurre il
sapere tecnico dei costituzionalisti in un linguaggio diffuso, con
slogan che orientano la massa. A questo servono i sindacati, i politici,
le firme dei pochi giornali non piegati, gli artisti non conformisti.
Diceva
Lenin che «la politica comincia laddove ci sono milioni di uomini che
controllano le questioni con l’esperienza, la pratica, e non si fanno
mai sedurre dai facili discorsi, non si lasciano mai deviare dal corso
obbiettivo degli avvenimenti». Il governo populista di Renzi sta
mobilitando ogni risorsa lecita e illecita per sopravvivere e con
alluvionali spot nelle tv manipola i quesiti, falsifica le questioni e
invita ad andare a votare come si conviene ad un plebiscito di regime.
Negli
scontri politici non bisogna farsi deviare dai sondaggi che annunciano
la vittoria e inducono a sottovalutare la forza dell’avversario.
Machiavelli suggeriva un precetto: «A volerti ingannare meno, ed a
volere portare meno pericolo, quanto è più debole, quanto è meno cauto
il nimico, tanto più dei stimarlo». Con minacce, promesse di bonus,
scambi e manipolazioni Renzi può ancora risalire e inseguire un sogno di
potere. Lo scontro perciò si radicalizza e produce sentimenti che lui
chiama odio.
L’odio contro un potere degenerato può vincere solo
se lo sostiene la volontà di assestare un colpo al governo che ha
strappato i diritti del lavoro, impoverito il pubblico impiego,
condannato i giovani all’emarginazione, aziendalizzato la scuola e
privatizzato la sanità. Grandi riforme che piacciono ai poteri forti
oggi in angoscia per il duello sotto la neve.