Repubblica 15.10.16
“Brexit, no grazie” Ecco gli inglesi in coda per scegliere l’Irlanda
In risposta al referendum che ha sancito il divorzio Londra-Ue cresce il numero di chi chiede il passaporto di Dublino
Da giugno sono più di 37mila i britannici che hanno rivendicato il diritto alla doppia cittadinanza
Il documento è garanzia per poter viaggiare e lavorare nei Paesi dell’Unione
di Francesca De Benedetti
ROMA.
«Basta, è ora di farlo». Niall Flynn ricorda il momento esatto in cui
l’ha pensato e scritto: nel Somerset, al Glastonbury Festival, con più
di duecentomila persone radunate per uno dei più grandi appuntamenti
musicali di ogni estate inglese dal 1970 a oggi. «Il 24 giugno mi
sveglio ancora mezzo ubriaco e arriva la doccia fredda: ”Ce ne andiamo
dall’Europa, la vittoria di Leave è certa”, dice mio padre via sms. È
allora che rispondo: “È ora di farlo. Papà, divento irlandese anch’io”».
Il padre, che è nato in Irlanda, lo invita a mantenere la calma. « Let
the dust settle first », aspetta che le cose si sistemino.
A
quattro mesi di distanza, Niall ha compiuto 22 anni, si è laureato a
Birmingham, pensa al futuro e la sbornia è passata. Ma non la
determinazione: se l’Inghilterra lascia l’Europa, allora lui va
dall’Irlanda.
Ci dev’essere anche Niall in quella sfilza di numeri
che impressiona. Da Brexit in poi, più di 37mila britannici hanno
chiesto il passaporto irlandese, rivendicando il loro diritto alla
doppia cittadinanza. A settembre, dalla Gran Bretagna sono arrivate
7.500 domande per il passaporto di Dublino; più del doppio dello stesso
mese nel 2015, quando erano 3.400. Non è un caso, ma una curva che
cresce dal 23 giugno di Brexit sotto gli occhi di ambasciate, uffici,
ministeri: a luglio +70% di richieste rispetto al 2015, ad agosto +104%.
Settembre è boom: +120%. Stesso trend dall’Irlanda del Nord: qui le
domande per il passaporto “del Sud” crescono di due terzi.
È
l’altro “ Remain”: la corsa a una doppia cittadinanza, il modo che tanti
britannici con radici irlandesi hanno trovato per mantenere un piede
nella scarpa d’Europa. «Questo è solo l’inizio: lei pensi che con le
varie migrazioni circa un terzo degli abitanti del Regno Unito può
vantare una qualche discendenza irlandese», commenta dall’isola dei
trifogli David D’Arcy. Lui ha fondato la costola irlandese della
campagna per “restare”, Irish4Europe. Prima del voto ha chiamato
all’appello tutti i discendenti di Dublino in Gran Bretagna: «Passate
parola, dite agli amici di restare con noi nell’Unione».
Ma non è
bastato. «Il disastro è avvenuto, siamo stati vittime di politici
cinici», dice il grande romanziere irlandese John Banville. «Capisco chi
fa di tutto per mantenere i legami con l’Ue». E allora eccoli, inglesi,
scozzesi, gallesi, nord irlandesi, che affollano le comunità irlandesi
delle loro città. «Vengono anche da noi a Camden. Tra una birra e un
concerto si informano su come fare. Molti sono irlandesi di seconda
generazione», spiegano dal London Irish Centre. L’ambasciata irlandese,
anche in Italia, assiste al fenomeno e snocciola regole: «Se sei nato in
Irlanda entro il 2005, se genitori o nonni sono irlandesi, puoi avere
diritto alla cittadinanza e al passaporto». Una sfilza di discendenti
d’Irlanda ha deciso di non aspettare che i politici sbrighino i
negoziati di addio, lunghi almeno due anni. Meglio mettere subito in
tasca la garanzia di poter viaggiare o lavorare in Europa. «Pensano
davvero che noi, cresciuti con l’Erasmus in tasca, accettiamo di
rimanere isolati?», si infervora Niall. «Io già prima mi sentivo un po’
irlandese, come papà. Anzi, come tanti della mia età, mi sento libero di
essere del mondo, un “bastardo”. Ora, ad ascoltare questi politici che
attaccano migranti e lavoratori stranieri, mi viene la nausea. Io mi
tengo ben stretto alla Ue».
Strano scherzo della Storia, la
piccola grande Irlanda diventa ora l’isola felice dei filo-Unione. Lei,
che finì dentro quell’acronimo impietoso, “PIIGS”, “maialino d’Europa”
con Portogallo, Italia, Grecia, Spagna, ultime ruote nel carro di
crescita e sviluppo. Poi è tornata a crescere, ora è l’approdo sicuro
dei Remain. Eppure anche l’Irlanda disse in passato i suoi “no” all’Ue.
Nel 2001 un referendum sancì il “no” al trattato di Nizza. Otto anni fa
gli elettori dissero “no” allo stesso trattato di Lisbona che ora, con
l’articolo 50, disciplina l’addio britannico. «Siamo solo pragmatici,
non euroscettici », spiega l’ambasciatore d’Irlanda in Italia Bobby
Mc-Donagh. «Anzi l’87% è euro-ottimista. Da noi non esistono partiti
xenofobi anti Ue. Dopo una storia di conflitti, negli ultimi trent’anni
un delicato percorso di pace aveva risanato le ferite». McDonagh allude
alla sorella Nord Irlanda, che ora con Brexit sembra più lontana; eppure
Belfast avrebbe preferito il “Remain”, tuttora si discute di “confini
morbidi” per attenuare le fratture di Brexit. «Basta con le barriere! »,
dice Niall. «Un mio amico di origini francesi ha chiesto il passaporto
di Parigi, come tanti coetanei: non vogliamo esser isolati. Nessun Paese
può rimanere un’isola, neppure l’Inghilterra».