il manifesto 15.10.16
«Dopo Hollande il duello finale sarà tutto a destra, questo è il rischio»
Intervista
a Daniel Cirera. «Rassegnati a Marine Le Pen al secondo turno», mentre i
socialdemocratici, in crisi, ancora non hanno il candidato per l'Eliseo
di Anna Maria Merlo
PARIGI
La socialdemocrazia è in crisi in Europa. L’idea stessa sembra
inadeguata a rispondere alle domande dei cittadini in questo periodo di
transizione. È ancora peggio quando una sua versione, rivista e
corretta, è al potere, come in Francia. A pochi mesi dalle elezioni
presidenziali, mentre le candidature si moltiplicano, manca in effetti
per il momento quella «socialdemocratica».
Per cercare di capire
questa situazione di stallo, discutiamo con Daniel Cirera, specialista
di questioni europee, segretario del consiglio scientifico della
Fondation Gabriel Péri, che ha scritto un saggio su Socialdemocrazia,
fallimento e fine di un ciclo (2009).
Dopo 5 anni di presidenza di un socialista, la sinistra rischia di non essere presente al ballottaggio a maggio?
C’è
una crisi e il rischio di arrivare a un duello tra una destra
radicalizzata e l’estrema destra. Per la sinistra tradizionale e per
quella erede del comunismo sembra che ci sia un’assenza di soluzione
politica a questo dilemma. Questa situazione riflette l’angoscia
profonda del paese reale, che si traduce nella ripetizione di
affermazioni del tipo «non so per chi votare», «tutti ladri», riduzione
dell’alternativa tra Macron (ex ministro dell’Economia, che ha fondato
il movimento En Marche!) e Juppé (ex primo ministro di Chirac). È una
situazione schizofrenica. Anche perché al momento non sappiamo cosa
accadrà: chi sarà candidato a destra? Mélenchon è candidato, ma chi per
il Ps e per i Verdi? Quale sarà il risultato del primo turno? In Francia
non si è mai vissuta una situazione del genere. Si deve riflettere, ma
mancano gli elementi su cui farlo. In un paese dalla cultura politica
stabile è una situazione che aumenta l’angoscia.
Come è possibile l’evaporazione della proposta socialdemocratica?
C’è
in effetti un problema di offerta politica. C’è a destra, dove i temi
prescelti sono la sicurezza, l’islam, il matrimonio per tutti. Con gli
industriali che hanno bisogno di un certo consenso per far passare le
ricette neo-liberiste, mentre nel paese c’è una resistenza alle riforme
del mercato del lavoro e alla diminuzione della spesa pubblica. Tra i
cittadini c’è confusione, un misto tra collera e attesa, delusione e
bisogno di cambiamento: su idee, persone, pratiche. Macron, per esempio,
lavora per occupare questo spazio e gioca sull’attenuazione della
differenza destra-sinistra. Ma questa permane in Francia, dove non c’è
la grande coalizione. C’è invece uno spazio per il centro-sinistra. Per
questo, il primo ministro Manuel Valls guarda a Renzi, Hollande prende
esempio da Schröeder e, nei fatti, il presidente cerca una posizione
comune con l’Spd sul Ttip, per esempio. La mancata risposta europea, in
termini di progresso economico, di solidarietà sulla crisi dei profughi,
sulla Siria, non fa che aumentare il malcontento. E i cittadini non
vedono quale forza politica risolverà i problemi. Per la destra è più
facile, perché non è al governo, ma la radicalizzazione di questa parte
politica rende la prospettiva del 2017 molto pericolosa. La destra ha
già conquistato 8 regioni su 13, più molte grandi città.
La sinistra si sta chiudendo in un’impasse, trascinando il bilancio della presidenza Hollande come una palla al piede?
Il
discorso è focalizzato sulla situazione attuale. È in ritardo. Si
concentra sulla lotta per la presidenza, trascurando il dopo: ci sono le
legislative e, nel caso di vittoria di un candidato di destra,
qualunque sia il risultato della presidenziale, ci vorrebbe una forte
presenza di sinistra e sinistra della sinistra in Parlamento. Il futuro
non è scritto. Quello che è scritto è la delusione, la rassegnazione di
Marine Le Pen al secondo turno, la vittoria della destra. Per la
sinistra è un momento catartico. C’è una passività, un’incapacità a
costruire delle risposte, a reagire alla sfida politica e intellettuale.
Bisogna pensare al dopo-elezioni. C’è un malinteso d’origine: Hollande
aveva detto quello che avrebbe fatto, aveva difeso una visione
social-democratica che, nel contesto di crisi, si è tradotta in una
politica social-liberista. L’altra sinistra vuole un’altra strada, ma
guarda più al prima che al dopo. Quale risposta nel contesto di crisi
europea? Il dibattito sull’alternativa è ridotto: o continuare una
maggiore integrazione oppure uscire. Si tratta di una sfida di grande
importanza. L’alternativa pare solo tra una risposta social-liberista
soft oppure un populismo che incarna un ripiego.
Non ci sono grandi idee neppure a sinistra della sinistra.
La
questione è trovare una risposta di trasformazione che utilizzi la
crisi per instaurare un rapporto di forze che metta in scacco il
liberismo. Jean-Luc Mélenchon vuole prendere una scorciatoia, o cambiamo
l’Europa o usciamo. Ma per me è una falsa alternativa. Certo, cambiare
l’Europa è difficile, ma è il momento per farlo.