Repubblica 13.10.16
Viaggio a Bettola.
I Sì e i No che qui pesano di più riguardano la fusione con altri due Comuni
Gli amici dell’ex segretario delusi: “Ma Pierluigi resterà nei dem”
Nel paese di Bersani il Pd è scomparso e il referendum è un altro
di Michele Smargiassi
BETTOLA.
Il sindaco Sandro Busca ha già scelto. «Semplificazione, efficienza, i
cittadini ci guadagneranno, pazienza se qualche politico perderà la sua
poltrona. Domenica prossima al referendum voto convintamente sì». Eh...
signor sindaco scusi, si vota il 4 dicembre. «Ah, lei dice quel
referendum!», ride, «be’, voterò sì anche a quello», ci pensa un attimo,
«praticamente per gli stessi motivi». Grande Italia e piccole Italie.
Sì, anche Bettola, meno di tremila anime sui colli piacentini, vota per
il suo referendum istituzionale: se fondersi coi Comuni vicini Farini e
Ferriere. E basta un giro nella grande piazza davanti al campanile
bicolore per capire che questo dilemma tra sì e no, alla gente di qui,
interessa molto più dell’altro.
Ma Bettola è un paese “sensibile”,
per la grande politica: è la culla di Pierluigi Bersani. Il 14 ottobre
2012 volle venire a “far benzina” qui, per la partenza del suo tour
elettorale per le primarie. Dall’officina meccanica che fu di papà Pino
lo incoraggiarono con una chiave inglese gigante e la scritta “noi
aggiustiamo, non rottamiamo”. Quattro anni dopo qui torniamo a misurare
la temperatura politica, ma non è proprio lo stesso entusiasmo di allora
che si respira fra i copertoni e le lattine d’olio. Franco Maggi, che
ci lavora da 46 anni e ora è l’unico titolare dell’Autofficina Bersani,
smanetta sul frontale di un furgone. «Io gliel’ho detto, Pierluigi, non
ti hanno lasciato cambiare l’Italia e non te la lasceranno più cambiare.
Non c’è altro da fare, torna a casa». Deluso? «Io alla politica fatta
dalla gente perbene ci credo ancora, ma c’è ancora gente perbene nella
politica?».
Un micromondo deluso. Il serbatoio si è svuotato. Qui,
è vero, votano più che altro a destra, ma se chiedi in giro, chiunque
di Bersani ti dice ancora, col suo accento e gesticolando perfino come
lui, che «è una gran brava persona». Però puntualizzano: «parlo della
persona eh». Politica, lontana ormai. Da due anni, a Bettola non c’è più
neppure il Pd. Si è sciolto «per stanchezza», ammette con malinconia
l’ultima coordinatrice del circolo locale, Marcellina Anselmi,
«decidevano tutto a Roma, ma se in un partito non puoi più discutere e
decidere, a cosa ti serve starci? ». Lei «al 60 per cento» voterà no,
non le piace un Senato non eletto, ma devi proprio insistere per avere
la risposta. «Guardo la politica un po’ da lontano. Ma Pierluigi, lui
credo che rimarrà nel Pd. Sa che se la sinistra se ne va, non c’è più
nessuno a rappresentare un pezzo di Italia popolare ».
«Le cose
buone non te le lasciano mai fare», passando il panno sul banco del
Caffè Colombo, il barista Franco dice che voterà no, ma lo dice senza
trasporto. Nel dehors, Stefano Ferrari, il medico del paese, finisce la
sua coppetta di gelato alla panna, «a Pierluigi dico di restare nel Pd,
nonostante le pugnalate ». Be’, Bersani è suo cognato, dottore...
«Glielo direi comunque. Questo paese bisogna unirlo, o si va al
disastro. A Pierluigi non hanno permesso di andare avanti, perché non è
mai stato ricattabile. Ma sa troppo bene che se il Pd crolla, dopo ci
sono solo i populisti». Quindi voterà no? «Renzi mi dia il Senato
elettivo e cambi l’Italicum e voto sì. Ma lo abbiamo capito tutti che
non si vota davvero su una riforma istituzionale ». Ma in verità, sulle
sorti politiche del bettolese più illustre qui non ci si straccia troppo
le vesti. La signora Franca che porta a spasso il suo cagnolino Paco
alza le spalle, fatalista: «Non capisco molto di politica. Ma ci sono
politici che cambiano partito ogni anno. Per Bersani, almeno, sarebbe la
prima volta». E naturalmente, al banco verdura, trovi il bettolese
amareggiato che ti dice «Bersani non è l’eroe del paese, non è che si
faccia vedere molto. E per noi la politica vera è qui, mica il Senato o
non il Senato. Lo sa, vero, che siamo andati sott’acqua? Crede che siano
venuti in tanti ad aiutarci?». Già, sì, il paese è stato inondato,
tredici mesi fa, un brutto giorno che il Nure si gonfiò come un bue
estrogenato, si portò via tre vite umane e otto milioni di danni che il
sindaco ancora non sa bene come recuperare del tutto, «ho gli impianti
sportivi distrutti ma nessuna legge ti risarcisce il campo da calcio per
i ragazzi, questa è la politica...». Il sindaco Busca, un ex
sindacalista Cisl, la politica l’ha scavalcata, la sua lista civica di
centrosinistra ha doppiato i voti del Pd alle politiche, forte di questo
dice «io queste esasperazioni sul sì e sul no non le capisco, voglio
bene a Bersani, ma certe contrapposizioni mi sembrano solo una disputa
sugli equilibri interni al Pd. I conti li facciano al congresso». Ha
fretta, deve andare a fare campagna per il suo referendum. «Il brutto è
che quel modo di fare politica sta arrivando anche qui, non si discute
se unire i Comuni sia giusto o sbagliato, ci si schiera semplicemente
contro chi governa, per partito preso».
Nell’officina Bersani,
ormai buia, Franco rimonta il frontalino. «Io non capisco molto di
politica. Ma, come Pierluigi, appartengo a un mondo che non è quello che
vedo nei tg. Questa officina, Pino me la lasciò sulla fiducia, il vero
contratto fu una stretta di mano. Per me un buon politico dovrebbe avere
un solo principio: potrai magari dire che ho sbagliato, mai che sono un
ladro». Si pulisce le mani con lo straccio, «ma ce ne sono ancora, di
politici così?».