giovedì 13 ottobre 2016

Repubblica 13.10.16
Il voto sulla nuova Costituzione tocca un nodo politico di lungo periodo
La posta in gioco del 4 dicembre è l’egemonia del partito renziano
Il premier non è riuscito a svuotare il bacino di Berlusconi
Anche con M5S la missione è incompiuta: i grillini sono ancora premiati
di Stefano Folli

Al di là dello stillicidio delle polemiche e di una propaganda ripetitiva che il presidente della Repubblica vorrebbe più seria e rispettosa, il sentiero verso il referendum ha ormai toccato il nodo politico. Lo si può riassumere così: il voto è sulla nuova Costituzione, ma nella penombra c’è dell’altro. È in gioco la nascita di un nuovo partito egemone in grado di assorbire una buona fetta del voto di centrodestra ex berlusconiano e al tempo stesso di fare a meno della vecchia sinistra ex comunista.
Qualcuno ha da tempo indicato questo progetto come neo-democristiano, ma è una semplificazione fuorviante. Il “partito di Renzi” - per usare la definizione di Ilvo Diamanti - sarebbe una novità nel panorama italiano: un partito molto accentrato, con una leadership forte e non troppo tollerante, fondato su un sistema maggioritario piuttosto ingessato che conferisce notevole potere a chi decide le candidature (o addirittura “nomina” i parlamentari). Il tutto calato in un sistema oggi basato su tre gambe (centrodestra, centrosinistra e Cinque Stelle), ma che il premier-segretario vorrebbe al più presto riportare nello schema bipolare, assai meno rischioso per lui.
La nuova egemonia finora si è rivelata illusoria. Renzi era partito nel 2014 per prosciugare i voti di Grillo, anche attraverso un populismo morbido concepito per riportare a casa gli elettori sedotti dal M5S, ma l’operazione non è riuscita. I Cinque Stelle continuano a essere premiati dai sondaggi, nonostante il caso Roma e altri pasticci: segno che la spinta anti-sistema continua ad alimentarsi con la scarsa credibilità della classe politica. In fondo non è senza significato che l’altra sera il grillino Di Maio sia stato seguito a “DiMartedì” più o meno dallo stesso numero di teleutenti che hanno seguito il presidente del Consiglio a “Politics”.
L’ altro obiettivo di Renzi era e rimane lo svuotamento dell’area berlusconiana in crisi di identità. Anche in questo caso l’operazione è rimasta a metà: gli elettori di centrodestra non si sono fidati e, pur abbandonando in parte Berlusconi, hanno preferito rifugiarsi nell’astensione. In altre parole, il bilancio del “partito di Renzi” non è brillante, benché sia stato messo a punto un sistema di potere che lascia pochi margini al caso. Eppure nelle prossime settimane lo scenario potrebbe essere capovolto. La battaglia decisiva è alle porte. Quella che Renzi si sta preparando a combattere da almeno cinque mesi intorno a un referendum che è costituzionale, certo, ma anche fondamentalmente politico.
La vittoria del Sì equivarrebbe a infliggere alla sinistra del Pd una sconfitta storica, probabilmente definitiva. E non sarebbe solo la minoranza bersaniana a pagare lo scotto. I comitati del No di D’Alema e Quagliariello hanno raccolto un mondo politico stile Prima Repubblica che i renziani sono lieti di avere come avversario. Nella loro logica aiuta il discorso innovatore di Palazzo Chigi, soprattutto ora che la strategia volta a conquistare un certo elettorato moderato - ex berlusconiano o centrista - è entrata nel vivo. Non a caso infatti vengono sottolineati i punti di contatto, nemmeno pochi, fra la riforma Boschi e il testo costituzionale del centrodestra che fu rigettato nel referendum del 2006. Respinto, va detto, con l’impegno attivo del centrosinistra.
Oggi il quadro è cambiato. Il “partito di Renzi” non è ancora nato, ma prenderà forma nelle prossime settimane se si realizzano alcune circostanze in contemporanea: il successo del Sì, un ruolo determinante in tale risultato del mondo moderato, la disfatta della sinistra interna ed esterna al Pd, il contenimento dei Cinque Stelle a cui il premier sta cercando di sottrarre il monopolio del populismo anti-casta. Il progetto è molto ambizioso e i suoi contorni ormai sono visibili. La posta in gioco è l’egemonia politica per una ventina d’anni, isolando da un lato il ceto politico della vecchia sinistra e dall’altro l’estremismo leghista. Tuttavia fare dei Cinque Stelle l’unica opposizione strutturata nel nuovo schema costituzionale pone dei rischi che Renzi sembra sottovalutare.