il manifesto 13.10.16
La campagna di Jim & Matteo, tra «dinosauri» e bambini
Referendum.
Renzi e il mago della propaganda Messina a caccia del voto
berlusconiano e degli under 60. E intanto il premier studia le mosse per
il dopo voto
di Andrea Colombo
Due sole cose
sono certe: la prima è che comunque vada a finire il 4 dicembre la
minoranza Pd non farà a Renzi il favore di alzare i tacchi; la seconda è
che, se sconfitto, Renzi non farà alla minoranza il regalo di restare a
palazzo Chigi per completare il processo di arrostimento né quello di
lasciare invece la segreteria del partito. Al contrario, subito dopo il
voto del Senato sulla legge di bilancio, si dimetterà da premier ma si
barricherà nella segreteria.
Tutto il resto è invece incerto. In
ogni caso subito, dopo il referendum, inizierà una di quelle estenuanti
guerre di posizione alle quali il Pds-Ds-Pd ci ha abituato da sempre.
Se
il Si vincerà Renzi non metterà alle porte il nemico interno. Se ne
sbarazzerebbe più che volentieri. Se se ne andassero da soli
brinderebbe. Ma non può essere lui a farsi carico di un’espulsione e di
una scissione. Non significa però che tutto resterà uguale. L’intervento
di Cuperlo, il solo esponente della minoranza sul quale Renzi aveva
lavorato a uomo sino a un attimo prima della Direzione, è eloquente.
Impegnandosi a dimettersi da deputato dopo l’eventuale lacerazione,
indicava anche al resto della minoranza l’impossibilità di «far finta di
niente».
Sarà effettivamente impossibile. Nel palazzo che un
tempo era loro i rottamati già devono accontentarsi di qualche
sgabuzzino. Se saranno sconfitti perderanno anche quegli esigui spazi e
se, nonostante tutto, decideranno di restare in veste di sgraditi ospiti
saranno affari loro.
Se vincerà il No, però, tutto sarà molto più
complicato. In quel caso dovrà infatti essere la minoranza a dare
l’arrembaggio alla segreteria. Renzi, nei giorni scorsi, ha manifestato a
volte l’intenzione di lasciare anche quella postazione in caso di
batosta. Ma sono umori passeggeri, che si alternano con il proposito
opposto: quello di tener duro alla guida del partito in modo da potersi
ricandidare alle politiche. Prevarranno gli istinti battaglieri.
Quindi
starà alla minoranza muovere, e l’offensiva non sarà una passeggiata.
Con le mani libere dagli impegni di governo, Renzi darà il meglio di sé.
Si presenterà come l’unico leader di cui il partito dispone in vista di
una prova elettorale difficilissima. Determinante, a quel punto, sarà
la legge elettorale. Se la riforma verrà affossata, l’Italicum si
inabisserà con lei e il modello che lo sostituirà avrà un peso forse
decisivo a favore o a sfavore del premier.
Ma per Renzi questa è
futurologia. Al momento è il presente a occupare la mente sua e del
maghetto della propaganda Jim Messina. Il piano di battaglia è pronto,
la strategia fondata sul responso dei sondaggi scomposti. Dicono che il
Sud è perso ma che al nord la partita è apertissima. Tutto dipenderà
dalla conquista dell’elettorato berlusconiano. Per questo Renzi tuona
contro la Ue ogni volta che può e per lo stesso motivo fa gli scongiuri
per evitare un’esposizione diretta di Berlusconi, che ancora sposta
parecchio. Dicono che nella fascia anagrafica ultrasessantenne il Sì
prevale, non così tra gli adulti e tra i giovani. Portare questi ultimi a
votare per la riforma è più o meno impossibile, in compenso si può
puntare sull’astensione e a questo serve il martellamento sui
«dinosauri» che campeggiano nel fronte del No. Ma gli adulti, quelli
bisogna portarli a votare Sì. Ecco perché ultimamente Renzi sembra
essersi fissato con i bambini: gli adulti sono anche genitori, o lo
saranno presto.
Il resto, dalla «scuola per funzionari propagandisti» di Jim Messina all’occupazione a tempo pieno del video, è repertorio.