Repubblica 13.10.16
Da Fini a Pomicino in fila le vecchie glorie della Prima Repubblica
Alla riunione di Italianieuropei contro la la legge in sala Dini, Pomicino, Ingroia, Civati e Salvi
di Goffredo De Marchis
ROMA.
Sala piena, di tutto un po’. Massimo D’Alema, immobile sul palco, ha
un’espressione perplessa mentre al microfono si alternano Renato
Brunetta e Maurizio Gasparri, il primo raccontando che a una delegazione
del Myanmar ha detto che la loro democrazia è più solida della nostra,
l’altro citando Checco Zalone. Ma sono anche loro compagni di viaggio
verso il 4 dicembre, il giorno X, la data della sfida Renzi contro il
resto di un mondo.
Al residence di Ripetta, la fondazione
Italianieuropei e la sua omologa Magna Carta diretta da Gaetano
Quagliariello hanno riunito i sostenitori del No al referendum. Ne è
venuto fuori un convegno di battaglia, certamente, con presenze
eterogenee e il sapore di una quelle partite benefiche giocate dalle
vecchie glorie. «Non siamo la Torre di Babele - dice per esempio
Gianfranco Fini mettendo le mani avanti -. Io partecipo alla campagna
per convincere gli elettori di destra che la riforma è sbagliata anche
se contiene in apparenza tante correzioni care alla mia parte». Seduti
in platea ci sono amici e nemici. Della Prima e della Seconda
Repubblica. Paolo Cirino Pomicino non è cambiato. Si agita sempre molto e
muove le mani freneticamente quando parla. Il “comunista” Cesare Salvi
ascolta e annuisce. C’è un pezzetto del Partito democratico, dissidenti
ma combattivi: Massimo Mucchetti, Walter Tocci, il bersaniano Davide
Zoggia, il dalemiano Danilo Leva. Spunta anche Pippo Civati, un tempo
rottamatore come Renzi, che ha scelto una strada tutta sua: fuori dal
Pd, fuori da Sinistra Italiana, dentro una sua Cosa che si chiama
Possibile. Si vede Lamberto Dini, ex premier come D’Alema. E appoggiato
al muro, un personaggio lontanissimo dal “Rospo” come Antonio Ingroia.
Ci
si perde a guardare le facce dei presenti. Ma D’Alema, saggiamente,
cerca di girare in positivo questo gruppo variopinto al quale
sicuramente difetta “l’amalgama” che un giorno l’ex segretario invocò
per attaccare Veltroni: «Dalla parte del Sì c’è un blocco unico che si
sovrappone alla maggioranza di governo e va messo nella categoria
Partito della Nazione più i cosiddetti poteri forti». E di qua? Uno
schieramento di diversi «come è giusto che sia quando si parla di
modifiche della Costituzione », spiega Quagliariello. Quindi non
un’Armata Brancaleone, come si ironizza facilmente, ma un fronte che
risponde, dice D’Alema, a «ciò che è scritto nello Statuto del mio
partito: le riforme non si fanno a colpi di maggioranza».
All’appello
rispondono i forzisti Paolo Romani, Altero Matteoli e Anna Maria
Bernini, il centrista Mario Mauro, il capogruppo di Gal Mario Ferrara,
il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, i leghisti di peso Giancarlo
Giorgetti e Maurizio Fedriga. In sala c’è anche Bobo Craxi, animatore
del No socialista. Tutti applaudono la proposta di riforma alternativa,
che adesso è sul campo, ma che non si sa quale sorte incontrerebbe una
volta inserita negli atti parlamentari. Però il No garantisce, e i
partecipanti lo sottolineano più volte, il prosieguo della legislatura
fino al 2018. Per riformare l’Italicum e varare una nuova Carta
costituzionale de-renzianizzata. Mentre il Sì, insinua D’Alema, farebbe
scivolare la legislatura verso la fine anticipata al 2017. Messaggio
rivolto ai parlamentari, neanche troppo velato.
Naturalmente, non
si vedono grillini, ad eccezione dell’ex Francesco Campanella. Ma c’è
ovviamente il presidente del Comitato del No, l’avvocato dalemiano Guido
Calvi. E c’è Stefano Rodotà che tanti dei presenti li ha combattuti,
contestati, inchiodati alle loro responsabilità morali e politiche sia
nella Prima che nella Seconda repubblica ma oggi è un fiero avversario
della legge Renzi-Boschi. «Brancaleone? Direi invece che le ragioni del
No sono così forti da riunire persone tante diverse ». Civati commenta:
«Le facce di questo appuntamento? Non mi preoccupano. Dall’altra parte
vedo Verdini e Alfano».