mercoledì 12 ottobre 2016

Repubblica 12.10.16
“Io, ultima barriera fra gli americani e l’Apocalisse”
Se il mio rivale fosse un altro non andrei a letto con un nodo allo stomaco
Parlando al New York Times Clinton mette in guardia dalla possibile vittoria di Trump. E molti repubblicani la vedono come lei
di Federico Rampini

NEW YORK. «Io sono l’ultima barriera fra voi e l’Apocalisse». Così Hillary Clinton conclude un’intervista al New York Times.
Toni drammatici, ma non sorprendenti.
E’ vero, ogni candidato ha tendenza a definire la sua campagna come «la più importante della storia». Stavolta ci credono in molti. La frase di Hillary riecheggia commenti che dilagano su molti media dopo il dibattito televisivo di domenica sera. In particolare quella minaccia di Donald Trump, riferita allo scandalo delle email di Hillary: «Se divento presidente nominerò un procuratore per incriminarti e mandarti in carcere». L’indomani, l’America si è risvegliata in versione “Repubblica delle banane”, una di quelle nazioni illiberali dove chi vince un’elezione arraffa tutto, e per gli sconfitti è consigliabile l’esilio, se fanno in tempo a scappare. Molti opinionisti, incluso qualche repubblicano, ormai descrivono l’8 novembre come una scelta tra la democrazia e un salto nel buio. Nella stessa intervista Hillary dice: «Se stessi correndo contro un altro repubblicano, avremmo i nostri disaccordi, non fraintendetemi, e farei di tutto per vincere. Ma non andrei a letto di notte con un nodo allo stomaco».
Le ansie dei democratici sono in parte attenuate dai sondaggi. Più ancora del secondo duello, con ogni probabilità a indebolire Trump è stato lo scandalo del video datato 2005, in cui si vanta di afferrare le donne che gli piacciono senza chiedere permesso, allungando le mani verso le loro parti intime. I sondaggi usciti dopo, accentuano una tendenza che si era già notata dal 26 settembre (primo dibattito in tv), cioè un calo di Trump. L’ultima rivelazione targata Wall Street Journal/ Nbc attribuisce alla Clinton nove punti di distacco sul repubblicano.
E forse bisognerebbe cominciare a mettere fra virgolette l’etichetta “repubblicano”. Non si sa più bene con chi e contro chi stia correndo il tycoon dei casinò (un business nel quale ha dichiarato la sua settima bancarotta l’altroieri, al Taj Mahal di Atlantic City).
E’ un vero caos quello che regna nel partito repubblicano, dopo la scelta del presidente della Camera Paul Ryan d’interrompere le iniziative pro-Trump per concentrarsi solo sulla difesa dei seggi parlamentari in palio a novembre. Il gesto viene interpretato come una scommessa sulla sconfitta di Trump e un tentativo di limitare i danni almeno al Congresso.
L’8 novembre si rinnova l’intera Camera e un terzo del Senato. In genere gli elettori americani sono restii a dare un voto “separato”, cioè eleggere un presidente di un partito e deputati o senatori del partito rivale. Di qui lo scenario per cui i democratici se trascinati dalla vittoria della Clinton potrebbero sottrarre almeno una parte del Congresso (più probabile il Senato) ai repubblicani attualmente maggioritari.
E’ di ieri la dichiarazione di Trump in cui si descrive come finalmente «libero dalle catene» del suo partito, libero cioè di fare campagna come vuole lui.