Corriere 12.10.16
Incidente o provocazione I rischi che corriamo quando rullano i tamburi
di Franco Venturini
La
guerra atomica non è dietro l’angolo, ma Vladimir Putin sfrutta il
brusco aggravamento delle tensioni Est-Ovest per scaricare all’esterno i
problemi interni della Russia e per rafforzare ulteriormente la sua
figura di condottiero. Si spiega così il clima di allarme rosso che
prende piede in Russia con la benedizione delle autorità, ma saremmo
pericolosamente miopi se pensassimo che dietro il rumor di sciabole che
continua a crescere in particolare tra Russia e Stati Uniti vi siano
soltanto motivazioni tattiche.
Una guerra voluta e prevista non è
imminente, è bene ripeterlo. Ma sono enormemente aumentate le
possibilità di una guerra dovuta a incidenti o a provocazioni. E la
politica, in Russia ma anche negli Usa e in alcune contrade europee, non
sembra in grado di controllare fino in fondo il bellicoso arcipelago
abitato da militari, da servizi, da industrie della difesa, da falchi
nazionalisti che odiano la diplomazia e adorano il grilletto.
Questa
evoluzione, se vogliamo chiamarla così, è in atto su entrambi i fronti
da due anni e mezzo, da quando Putin, assumendosi una pesante
responsabilità, decise di annettersi la Crimea. Ma è in queste ultime
settimane che una improvvisa escalation ha avuto luogo. Le accuse sempre
più circostanziate sulle interferenze degli hacker russi nella campagna
elettorale americana, il fallimento della tregua in Siria dopo
l’iniziale accordo tra Kerry e Lavrov, lo schieramento recentissimo di
missili Iskander a capacità nucleare nell’enclave russa di Kaliningrad,
la moltiplicazione dei voli militari russi al limite degli spazi aerei
dei Paesi della Nato, e soprattutto l’appoggio russo al selvaggio
bombardamento siriano di Aleppo, sono stati accompagnati da accuse
verbali che nemmeno durante la guerra fredda venivano utilizzate. In
Occidente voci autorevoli suggeriscono che la Russia dovrebbe rispondere
di crimini di guerra per la mattanza di Aleppo. A Mosca, con una
espressione che agli intenditori è parsa ancor più minacciosa, è stato
fatto presente che l’aggressività americana pregiudica gli interessi
nazionali della Russia. E se si considera che la probabile (e
auspicabile) prossima presidente degli Stati Uniti ha sempre avuto
rapporti a dir poco tesi con Putin, diventa lecito domandarsi verso
quale imminente futuro si stiano muovendo le relazioni russo-americane e
dunque russo-europee.
Un rimedio alla tensione tra le due
superpotenze nucleari, e al pericolo terrificante che essa possa andare
fuori controllo, potrebbe venire dalla rinuncia alla propaganda.
Prendiamo i missili russi schierati (forse provvisoriamente) a
Kaliningrad. Gli esperti militari occidentali prevedevano questa mossa
da quando, l’estate scorsa, sono cominciati in Polonia i lavori per una
base di missili intercettori della Nato. Oppure guardiamo bene a cosa è
accaduto dopo la proclamazione della tregua d’armi in Siria. Il primo
strappo importante è stato un bombardamento della coalizione guidata
dagli Usa contro postazioni militari siriane. Washington ha subito
spiegato che si era trattato di un errore, peraltro poco credibile. Ma è
dopo questo episodio che la furia siriana (e russa) si sono scatenate
contro il convoglio degli aiuti Onu, e di nuovo, giorno dopo giorno,
contro la popolazione civile di Aleppo.
Non vogliamo dire qui che
le colpe «originali» siano prevalentemente americane. Ed è fuor di
dubbio che i metodi alla Grozny appartengano alla Russia e ai suoi amici
siriani, non agli occidentali. Ma in tema di Siria non è forse
risultato chiaro che il Pentagono si opponeva con tutte le sue forze
all’intesa che il capo del Dipartimento di Stato aveva concluso con i
russi? È troppo audace supporre che l’inverosimile «errore» dei
bombardieri avesse in animo proprio di far saltare quella intesa? È
infondato constatare (non soltanto sulla Siria, ma anche
sull’Afghanistan) che il presidente Obama ondeggia tra Pentagono e
Dipartimento di Stato?
Considerazioni non troppo diverse, malgrado
l’apparenza di un Putin onnipotente, possono essere avanzate sul fronte
opposto. I militari russi sono oggi più che mai protagonisti della
politica del presidente. Lo stesso è probabilmente vero per i servizi
dai quali Putin proviene, e i ricambi di personale attuati nel suo
«primo cerchio» dal capo del Cremlino prima delle elezioni legislative,
dai più interpretati come mosse tattiche alla vigilia della
consultazione, potrebbero invece essere segnali di debolezza, sintomi di
una leadership meno solida rispetto al periodo pre-Ucraina, pre-Siria e
pre-sanzioni.
Se si vogliono evitare conseguenze peggiori nel
contrasto ormai frontale tra Est e Ovest, la politica e la verità devono
ritrovare il loro ruolo e i tamburi devono rullar e un po’ meno. Di qua
e di là.