Il Sole 12.10.16
Il Messico e la grande paura di una vittoria di Trump
di Roberto Da Rin
Effetti collaterali. Le rimesse calerebbero di 12 miliardi di euro nei primi 7 mesi del 2017
Troppo
facile scrivere di Donald Trump dall’Europa o dagli Stati Uniti. Delle
sue violenze verbali, delle sue dichiarazioni sessiste e dei suoi
preoccupanti programmi di politica economica.
Visti da Sud, i
problemi derivanti da una sua ipotetica vittoria alle presidenziali sono
drammatici. Il Messico, per esempio, Paese di 118 milioni di abitanti
con un’economia fortemente interrelata con quella statunitense, fa i
conti del 2017. Il governo di Henrique Peña Nieto ha dichiarato che, se
Trump vincesse le elezioni presidenziali di novembre, patirebbe una
perdita di 14miliardi di euro nei primi sette mesi del prossimo anno.
Una cifra enorme scaturita dalla forte contrazione delle rimesse degli
immigrati messicani negli Stati Uniti che verrebbero espulsi o
licenziati.
Non solo. Un altro aspetto foriero di preoccupazione
riguarda la rottura del Trattato di Libero commercio tra Stati Uniti,
Canada e Messico, il Nafta, che comporterebbe un ulteriore danno
all’economia messicana. « Sia chiaro - spiega una fonte governativa del
governo messicano – i danni riguarderebbero anche gli americani». Le
scelte politiche anticipate da Trump in merito al Trattato Nafta - che,
ricordiamo, è stato siglato nel 1993 da Stati Uniti, Messico e Canada -
sono quanto meno allarmanti.
Trump ha ribadito che, qualora
vincesse le presidenziali, lo abolirebbe. In un vertice di fine giugno
2016, definito “Tres amigos”, cui hanno presenziato Barack Obama,
Enrique Peña Nieto e Justin Trudeau, presidenti di Stati Uniti, Messico e
Canada, Trump ha sparato ad alzo zero. «Il primo obiettivo – ha tuonato
– è quello di agevolare i lavoratori americani, sempre più penalizzati
dal Nafta. Qualora ciò non accada proporrò l’abolizione del Trattato».
Il
Trattato di libero commercio è uno dei temi più spinosi dei rapporti
bilaterali tra i due Paesi , oltre al tema del narcotraffico.
L’economia
messicana è afflitta da una crisi profonda, e il governo di Peña Nieto
sarebbe disposto a rivedere alcuni capitoli del Trattato, ma di certo
non a cancellarlo. « Una vittoria di Hillary Clinton – si dice a Città
del Messico – rappresenterebbe la continuità e, pur nella necessità di
riscrivere alcuni passaggi, non costituirebbe un fattore di criticità».
Il
Messico è un Paese molto poroso con una frontiera lunga migliaia di
chilometri, un mercato di produzione a Sud del Rio Bravo e un mercato di
sbocco a Nord. Collusioni, complicità, e decine di frontiere dove
transitano enormi quantità di droga.
Quella del Messico, va
ricordato, è una economia molto interdipendente con quella americana.
Gli Stati Uniti assorbono l’80% delle esportazioni del Messico e gli
investimenti americani a Sud del Rio Bravo sono stati pari a 136
miliardi di dollari tra il 1999 e il 2012. Il Messico a sua volta è il
secondo socio commerciale degli Stati Uniti. Non solo: per California,
Arizona e Texas, il Messico costituisce il primo destinatario di
esportazioni.
L’uragano Trump potrebbe scompaginare questi
equilibri e la maggior parte delle relazioni economiche. Uno scenario
politico che un anno fa pareva inverosimile, oggi non lo è più. Oggi ci
sono solo due persone che potrebbero assumere l’incarico di presidente
degli Stati Uniti. Una di queste e Donald Trump.
Di certo le tensioni, le problematiche commerciali aperte, sono di vario tipo. La prima è quella relativa alle droghe.
Il
Messico è il primo Paese penalizzato dalla strategia di comunicazione
di Trump e dai suoi programmi di politica commerciale. Il sentimento
antiglobalizzazione cresce, negli Stati Uniti: sono andati persi
4,8milioni di impieghi industriali in 15 anni.
L’esempio più
eclatante, ricordato da Trump, è questo: una grande impresa di
Indianapolis, nel 2019, trasferirà la produzione di aria condizionata in
Messico.