Repubblica 12.10.16
Il diritto di essere come noi
La seconda generazione di migranti
È
una meraviglia che, nonostante la miopia della politica, questi ragazzi
stranieri nati in Italia continuino a rivendicare con forza la propria
italianità
di Chiara Saraceno
SI SENTONO come
dei fantasmi nel paese in cui sono nati e cresciuti, in cui hanno
studiato, di cui parlano la lingua e spesso conoscono le usanze e le
leggi molto più di quanto conoscano la lingua, le leggi e le usanze del
paese da cui provengono i loro genitori. Sono i ragazzi e i giovani
impropriamente definiti della seconda generazione di migranti.
Impropriamente perché la maggior parte di loro non è affatto venuta in
Italia da un altro paese, ma è nata e cresciuta qui, analogamente ai
coetanei italiani. Oppure sono venuti quando erano ancora bambini e qui
hanno frequentato le scuole e hanno condiviso esperienze con i coetanei
autoctoni.
È passato un anno da quando alla Camera è stata
approvata in prima lettura una nuova legge sulla cittadinanza che
introduce quello che è stato definito uno ius soli temperato, ovvero con
più vincoli di quello in vigore in Francia o Stati Uniti. Non basta,
infatti, nascere in Italia per avere la cittadinanza. Occorre, per i
minori nati in Italia, non solo che venga fatta una formale richiesta da
parte dei genitori, ma anche che almeno uno dei genitori abbia un
permesso di soggiorno di lungo periodo o, in alternativa, che il minore
abbia frequentato almeno un ciclo di studi. Lo stesso requisito, da
soddisfare entro i sedici anni di età, è richiesto per i minori arrivati
prima dei dodici anni. Per i più vecchi (fino ai venti anni) il
requisito si allunga.
Come si vede, si è ben lontani da ogni
automatismo, fino a far ritenere a qualcuno che questi vincoli violino
sia i diritti dei minori sia il principio di eguaglianza. Eppure, dopo
essere stata approvata alla Camera della legge non si è più sentito
parlare. Sommersa da oltre duemila emendamenti, giace al Senato senza
che sia annunciata alcuna calendarizzazione, stretta tra la feroce
opposizione di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, il disinteresse
del Movimento Cinquestelle (che alla Camera si è astenuto) e il timore
dei partiti governativi di riaprire al proprio interno conflitti
irrisolti. A meno che, come qualcuno maliziosamente potrebbe sospettare,
i partiti di maggioranza non vogliano utilizzare questo blocco per
dimostrare i limiti del bicameralismo perfetto, portando acqua al mulino
del sì al referendum costituzionale.
Qualsiasi siano le ragioni,
il Parlamento italiano sta dando un’ennesima prova di quanto i diritti
civili nel nostro paese godano raramente di attenzione, a fasi alterne e
sempre e solo uno per volta, creando sgradevoli gerarchie di priorità
oltre che attese lunghissime. È passata, faticosamente, la legge sulle
unioni civili, che gli stranieri aspettino pazientemente il proprio
turno, se e quando questo arriverà. I nostri pensosi rappresentanti non
sembra siano sfiorati dal sospetto che continuare a tenere ai margini
una fetta importante delle giovani generazioni che abitano il nostro
paese da tempo avviato al declino demografico non è solo una ennesima
dimostrazione che questo è un paese che non investe sui bambini e
giovani in generale, non solo su quelli stranieri, un paese occupato
dell’oggi e senza attenzione per il futuro. È anche una politica miope
proprio nei confronti della integrazione tanto sbandierata come
necessità per una immigrazione ben regolata.
Continuare a tenere
ai margini, come estranei da non ammettere ad una appartenenza comune,
dei bambini, adolescenti, giovani che aspirano a questa appartenenza
rischia di farli sentire e comportarsi come tali: senza obblighi perché
privi di reciprocità, risentiti, ostili. È una meraviglia che,
nonostante la miopia della politica e un discorso pubblico sui migranti e
le loro famiglie non sempre civile e pacato, questi ragazzi e giovani
continuino ostinatamente a rivendicare la propria italianità. Sono, di
fatto, italiani molto più di molti che sono nati all’estero da cittadini
italiani e all’estero sono cresciuti e vivono, spesso non conoscendo la
lingua italiana. E pure hanno tutti i diritti dei cittadini italiani,
incluso il diritto di voto, anche sulla riforma costituzionale, i cui
effetti positivi o negativi non li toccherà per nulla.