Il Sole 12.10.16
Immigrazione
Se i lavoratori stranieri pagano la pensione a 640mila italiani
di Stefano Natoli
I
2,3 milioni di stranieri che lavorano in Italia hanno prodotto nel 2015
ben 127 miliardi di ricchezza (8,8% del valore aggiunto nazionale). Il
contributo all’economia di questi lavoratori si traduce in quasi 11
miliardi di contributi previdenziali pagati ogni anno, in 7 miliardi di
Irpef versata, in oltre 550mila imprese straniere che producono ogni
anno 96 miliardi di valore aggiunto. Di contro, la spesa pubblica
italiana destinata agli immigrati è pari all’1,75% del totale, appena 15
miliardi (molto meno dei 270 miliardi spesi per le pensioni). Questi i
principali risultati della sesta edizione del Rapporto annuale
sull’economia dell’immigrazione, presentato ieri al Viminale dalla
Fondazione Leone Moressa. Dedicato quest’anno all’impatto fiscale
dell’immigrazione e al contributo degli stranieri alle casse pubbliche.
Uno
dei benefici dell’immigrazione sono i contributi pensionistici: nel
2014 hanno raggiunto quota 10,9 miliardi che – se si riparte il volume
complessivo per i redditi da pensioni medi – sono equivalenti a 640mila
pensioni italiane, come ha sottolineato Enrico Di Pasquale nella
relazione di presentazione del rapporto. A questo va aggiunto il gettito
Irpef pagato dai contribuenti stranieri (l’8,7% del totale) e pari a
6,8 miliardi.
«Un altro beneficio – ha detto il ricercatore della
Fondazione Moressa – è quello derivante dal fattore demografico: nel
2015, gli italiani in età lavorativa rappresentavano il 63,2%, mentre
tra gli stranieri la quota raggiungeva il 78,1%». E, come scrive nel
rapporto Stefano Solari (Università di Padova), «la tendenza in Italia
da qui al 2050 è un calo di un terzo (-12,3 milioni) della popolazione
potenzialmente attiva (20-70 anni) e un aumento degli anziani (+6,5
milioni). Un processo non sostenibile».
Il tasso di occupazione
degli stranieri è superiore a quello degli italiani, ma nella maggior
parte dei casi (66%) si tratta di lavori a bassa qualifica, che trovano
solo in parte giustificazione dal titolo di studio detenuto. Questa
situazione si traduce in differenziali di stipendio e reddito molto alti
tra la popolazione straniera e quella italiana, e in tasse più basse
versate (solo di Irpef la differenza pro-capite è di 2mila euro). Per
mantenere i benefici attuali anche nel lungo periodo, sarà necessario
aumentare la produttività degli stranieri.
Significativo anche lo
sviluppo dell’imprenditoria straniera: nel 2015 si contavano 656 mila
imprenditori immigrati e 550 mila imprese a conduzione straniera (il
9,1% del totale). Negli ultimi anni (2011/2015), le imprese condotte da
italiani sono diminuite (-2,6%), mentre quelle condotte da immigrati
sono aumentate del 21,3%. Per il segretario generale di Confartigianato,
Cesare Fumagalli, «il fenomeno comincia ad avere una consistenza
rilevante», soprattutto nell’edilizia (15% del totale delle imprese).
«L’obiettivo ora è dunque quello aiutare queste imprese a evolvere», da
dimensioni unipersonali a soggetti in grado di aggredire mercati
complessi.
Il contributo dei lavoratori stranieri alla crescita
dell’economia è importante, anche in considerazione del fatto che il
costo degli stranieri è, come già ricordato, inferiore al 2% della spesa
pubblica italiana. Secondo il sottosegretario del ministero
dell’Interno, Domenico Manzione, è giunta l’ora di acquisire
consapevolezza che «il fenomeno migratorio si avvia a essere
strutturale» e «se ben gestito, può trasformarsi in ricchezza
economica».
Giusto, dunque, come chiede Federico Soda (direttore
Oim, Ufficio di coordinamento per il Mediterraneo), «sviluppare una
riflessione approfondita sul ruolo degli immigrati nello sviluppo
dell’Italia». È importante cioè «individuare soluzioni di lungo periodo,
dove l’immigrazione non è vista come un problema, ma come una risorsa».
Così
come «è importante portare a termine accordi di collaborazione fra gli
attori internazionali», come ha sottolineato Luigi Vignali, capo Unità
di coordinamento del Ministero degli Affari Esteri, puntando su un piano
di investimenti per l’Africa (4 miliardi che per l’effetto leva
potrebbero diventare 44) che favorisca la cosiddetta «migrazione
circolare e legale». Ovvero, «chi viene formato in Europa deve essere
messo nelle condizioni di poter tornare nel Paese di origine per mettere
in pratica l’esperienza professionale acquisita all’estero» e favorire
lo sviluppo locale.