Repubblica 12.10.16
Il ritorno degli eremiti “Noi, ultimo rifugio per chi cerca ascolto”
«Ci aiutano anche psicologi e terapeuti».
Sono
200, in gran parte donne e laici, e vivono in luoghi sperduti Si sono
riuniti per la prima volta in Toscana “Dalle città vengono a chiederci
aiuto, noi diamo conforto”
“Sempre più spesso c’è chi si avvicina a noi per avviarsi sulla strada della liberazione”
Gli eremiti cercano luoghi solitari, ma alcuni trovano il silenzio anche in città
di Paolo Rodari
FIRENZE.
Vivono «come gufi nella notte», così li definì Cristina Saviozzi in un
fortunato libro edito da San Paolo, nascosti in appartamenti anonimi
all’interno delle nostre città o in masi abbarbicati su montagne
difficili da raggiungere. Ma tre giorni fa, in via del tutto
eccezionale, hanno scelto di scendere “a valle”. E di venire allo
scoperto, riunendosi in una casa di ritiro vicino a Firenze, dove hanno
partecipato a un convegno dedicato esclusivamente a loro e intitolato:
«Vivere in disparte per essere al cuore del mondo». A fare da cornice,
una massima di Thomas Merton, religioso e scrittore statunitense: «Nella
mia solitudine sono diventato un esploratore per te, un viandante di
regni, che tu non sei in grado di visitare. Sono stato chiamato a
esplorare un’area deserta del cuore umano».
Sono i nuovi eremiti,
circa duecento in Italia, persone come tante che a un certo punto della
propria esistenza hanno deciso di lasciare ogni cosa per vivere di
silenzio, solitudine e preghiera. Difficile censirli. Arduo, anche,
incontrarli. Amano fuggire dal rumore del mondo seguendo solo e soltanto
il richiamo dello Spirito. Un richiamo esigente, che porta alcuni di
loro — non tutti — a vivere «sulla soglia», come diceva di sé la
filosofa e mistica francese Simone Weil, senza cioè alcun riconoscimento
da parte della Chiesa. Fra loro, molte donne. «Siamo sempre di più —
racconta l’eremita Marta Gatti, che vive nell’entroterra del Garda in un
appartamento adiacente a una chiesa — e il motivo forse è uno: gli
eremiti, lo vogliano o no, accolgono tante persone bisognose di ascolto e
attenzione. E in noi donne questa dote dell’accogliere è naturale».
A
Firenze non c’era soltanto don Raffaele Busnelli, fino a pochi anni fa
semplice prete, a raccontare della sua nuova vita di ritiro in montagna
fra il lavoro in una falegnameria, un laboratorio di icone, l’orto e
alcuni asini. C’erano anche eremiti laici che, come i religiosi,
scelgono il ritiro pur non appartenendo a nessuna congregazione. Non
tutti, insomma, sono come l’alcantarino Carlo di San Pasquale — di lui
ha scritto Francesco Lepore in Seraphica Charitas, Libreria Editrice
Vaticana — che da religioso abbracciò l’eremitaggio. Esiste anche un
mondo laico che opta per il silenzio, donne e uomini comuni che
abbracciano una vita di privazione per essere soli con Dio: sveglia a
notte fonda, la preghiera fino all’alba, il silenzio come regola di
vita. Poi i lavori manuali in casa, l’accoglienza della gente che bussa e
quindi, al calar del sole, il riposo. Come Paola Biacino che abita, da
sola, in montagna, sopra Cuneo, in una baita di tre metri per tre, e che
per mesi, quando la neve è alta fuori dalla porta di casa, non vede
anima viva. Come Antonella Lumini, eremita a Firenze in un appartamento
del centro storico. Oggi in pensione, si è mantenuta lavorando part time
sui testi antichi alla Biblioteca nazionale. Ogni giorno, terminato il
lavoro nel primo pomeriggio, tornava a casa e si apriva al silenzio. Una
stanza, che lei chiama «pustinia » («deserto» in russo), è a esso
dedicata. Qui ancora oggi Antonella ascolta la voce dello Spirito. Qui
riceve le persone che necessitano di aiuto e discernimento nelle
difficoltà della propria esistenza quotidiana.
In Val Camonica, in
una antica chiesa del XV secolo, vive invece Lucia. Religiosa, ha avuto
il permesso dalla sua congregazione e dal vescovo di fare l’eremita. La
chiesa è isolata, sopra un piccolo paese. Lì, dal 1626 al 1807, c’è
sempre stato un eremita, lo chiamavano «il rumit». Poi per duecento anni
non c’è stato più nessuno finché, dice, «sono arrivata io». «Il luogo
mi ha convinto subito. Lo Spirito necessita anche di un ambiente adatto
in cui vivere, esprimersi. Il luogo, per l’eremita, diventa sacramento.
Da quell’eremo non sono più uscita. Scrivo icone, studio e accolgo
gente. Recentemente, ad esempio, ho accolto tre donne che avevano subito
violenze da piccole. L’eremo ha fatto riscoprire la parte più pura,
intatta, della loro persona. Spesso con me le persone fanno dei cammini
di liberazione. Mi aiutano anche psicologi e terapeuti».