Repubblica 12.10.126
Dimmi come preghi e ti dirò chi sei
“Se ci cogliessero in quest’atto arrossiremmo come una ragazzina” diceva Kierkegaard
di Vito Mancuso
Intimo o pubblico: il rapporto con il divino nei saggi di Heiler e di Florenskij tradotti in Italia
«“Pregava?”.
“Sì, pregava sant’Antonio perché fa ritrovare gli oggetti smarriti”.
“Per questo solo?”. “Anche per i suoi morti e per me”. “È sufficiente”
disse il prete». Così Montale ricorda in “Satura” la moglie scomparsa,
ma ciò che per il poeta è minimalismo della preghiera, in realtà ne è la
causa prima: il bisogno e gli affetti. Lo mostra alla perfezione il
libro di Friedrich Heiler, lo studio più ampio finora condotto a livello
mondiale
sulla preghiera, pubblicato a Monaco di Baviera nel 1918 ma ancora
insuperato quanto a documentazione e vigore speculativo, e oggi
finalmente disponibile per il lettore italiano: La preghiera. Studio di
storia e psicologia delle religioni,
a cura di Martino Doni,
Morcelliana, 912 fittissime pagine. Assai curioso che negli stessi
giorni arrivi in libreria un altro grande testo del 1918 sul medesimo
tema: La filosofia del culto di Pavel Florenskij, a cura di Natalino
Valentini, San Paolo, 600 pagine, prima traduzione mondiale fuori dalla
Russia. Matematico, filosofo, teologo, storico dell’arte, sacerdote,
denominato “il Leonardo da Vinci russo” per la poliedrica genialità,
Florenskij risulterà assai scomodo all’ateismo comunista che equiparava
religione a ignoranza e per questo sarà deportato nel gulag delle isole
Solovki ed eliminato l’8 dicembre 1937 in uno di quei crimini di massa
detti “purghe staliniane”.
Sulla preghiera Heiler e Florenskij
presentano idee molto diverse. Con un approccio fenomenologico lo
studioso tedesco ne illustra l’universalità tramite una valanga di
documentazione a partire dalle preghiere dei primitivi, di cui mostra
l’origine per lo più da situazioni di malattia, fame, pericolo, e da
sentimenti quali paura, angoscia, ansia. Come mostrano anche
l’etimologia (preghiera viene dal verbo latino precor, infinito precari,
da cui precarietà) e il linguaggio quotidiano (“ti prego!”), all’inizio
c’è sempre un bisogno. Il bisogno esaudito genera il ringraziamento e
la lode, quello non-esaudito il lamento e la supplica, fino a vere e
proprie tecniche di persuasione, tra cui Heiler menziona gli insulti che
talora venivano rivolti a san Gennaro, da lui accostati a fenomeni
analoghi presso i tedeschi. E conclude: «In nessun altro luogo risulta
altrettanto forte ed evidente l’irrazionalità della religione, anzi
della vita in generale». Il punto infatti è proprio questo:
l’irrazionalità della preghiera segue l’irrazionalità della vita. Heiler
descrive anche la preghiera col corpo: a mani giunte, a mani alzate,
inchinandosi, prosternandosi, in ginocchio, in posizione accucciata,
scoprendosi o coprendosi il capo a seconda delle religioni e del sesso,
con o senza scarpe. E illustra come si preghi verso l’alto dei cieli, ma
anche al cospetto della natura: della cima di una montagna, di una
sorgente, di un albero imponente, del vento e del fuoco, della pioggia e
del fulmine, della potenza del sole e della dolcezza della luna:
ovunque gli esseri umani hanno avvertito e riverito il mistero. A
proposito delle civiltà classiche Heiler scrive: «Pressoché a ogni
azione, dalla culla alla tomba, i greci facevano corrispondere una
specifica divinità»; e quanto ai romani: «Ogni singola opera del lavoro
agricolo è sotto il patronato di una specifica divinità». Presenta
alcune delle preghiere più belle (tra cui l’Inno al sole del faraone
Akhenaton, l’Inno assiro a Shamash, l’inno omerico a Gaia, due splendidi
inni inca, i salmi di Israele) e analizza la preghiera dei grandi geni
religiosi come Buddha, Geremia, Amos, Gesù, Paolo, Agostino, Maometto,
Francesco d’Assisi, Caterina da Siena, Lutero, Teresa d’Avila. Non
tralascia la preghiera di artisti, tra cui Goethe e Beethoven, e di
filosofi come Pascal, Voltaire, Rousseau. E riporta questa frase di
Kierkegaard: «Il senso religioso è qualcosa di così segreto, che se uno
ci scorgesse mentre preghiamo, potremmo arrossire come una ragazzina».
Secondo Heiler infatti la preghiera, che avvenga nel chiuso della
propria camera come auspicava Gesù o nella natura come preferiva
Rousseau, con un’intonazione mistica oppure profetica, nasce dalla
solitudine e conduce alla solitudine.
È di parere opposto
Florenskij. La sua filosofia del culto sostiene che la forma più alta di
preghiera non è quella intima e solitaria dei mistici, ma è la
preghiera istituzionale della comunità, la liturgia fatta di formule e
gesti prefissati, incensazioni, accensione di lampade e candele, canti,
adorazione della croce, baci delle icone. È nella liturgia che si
percepisce al meglio «la presenza di realtà misteriose accanto a noi e
davanti a noi, di esseri, eventi e forze misteriose; il che non può che
essere terribile, ma è bene che lo sia». Per Florenskij il culto non
produce un distacco dalla vita reale, ma al contrario ne è il più
autentico approfondimento: «La cultura, come risulta chiaro
dall’etimologia, è un derivato dal culto, ossia un ordinamento del mondo
secondo le categorie del culto». Per questo secondo Florenskij le
civiltà dotate di un culto hanno anche una cultura condivisa e risultano
coese, mentre l’occidente secolarizzato si avvia verso l’assenza di una
cultura condivisa. Florenskij scrive talora in modo aspro e radicale,
ma reagiva così alla distruzione che si compiva sotto i suoi occhi:
«Vorrei dare a queste riflessioni il peso delle pietre, vorrei che tutte
le parole pesassero, 10, 100, 1000 volte di più».
Il culto
pubblico, che per Heiler è decadenza della preghiera, per Florenskij è
il vertice. Scrive Heiler: «In origine la preghiera è un contatto intimo
e personale con Dio, ma gradatamente diviene una forma di culto rigida e
impersonale». Scrive invece Florenskij: «Il culto è il punto fermo
dell’universo per il quale e sul quale l’universo esiste». Per Heiler
l’uomo si compie nel mistero nella solitudine, per Florenskij è invece
il culto liturgico comunitario «l’attività per eccellenza dell’uomo,
dato che l’uomo è homo liturgicus ». Per Heiler la preghiera nasce dal
basso dei bisogni umani, per Florenskij dall’alto della rivelazione
divina e della tradizione ecclesiale. Heiler da cattolico divenne
protestante, per Florenskij invece «il protestantesimo è nella sua
essenza la negazione della centralità del culto e la sostituzione del
centro della religione con il pensiero ».
Le due prospettive
convergono sull’essenziale: sul fatto cioè che chi prega ottiene quiete,
fiducia, speranza. La gran parte degli esseri umani prega (se prega)
come la moglie di Montale, per esaudire i propri bisogni. La preghiera
però insegna che l’uomo è qualcosa di più: sete di giustizia e libertà
nella profezia, e parentela del proprio intimo sé con l’infinito nella
mistica. Certo, è improbabile che questa esperienza faccia ritrovare gli
oggetti smarriti, ma forse un’eccezione c’è: il proprio posto nel
mondo. Per questo chi la vive ottiene la pace del cuore. Beve, come
ricorda Florenskij, “l’acqua di guarigione e di pace”.