Repubblica 11.10.16
Cosa sta succedendo alla sterlina
A Gatwick servono 100 pound per 97 euro. Scatta la protesta: “Prezzi vergognosi”
Dal referendum perso già il 15%, ora si sconta il pericolo di un divorzio traumatico con la Ue
di Enrico Franceschini
LONDRA
«BONJOUR, finalmente l’Inghilterra non è più così cara», si felicita
Marcel, l’uomo d’affari parigino appena arrivato in città. « Shit,
questa è una rapina», si arrabbia Russell, il turista inglese in
partenza per le vacanze. La storia di due valute si concretizza
all’ingresso dell’Eurostar.
IL TRENO che
attraversa la Manica collegando Londra e Parigi, nella magnifica
stazione di St. Pancras, davanti al chiosco dell’International Currency
Exchange, una delle principali catene di cambiavalute della città. Il
viaggiatore appena arrivato dalla Francia compra 100 sterline con 114
euro: «Non mi era mai successo», dice, «di ricevere un cambio così
vantaggioso». Il vacanziere diretto a Parigi è furioso: ha dovuto
sborsare 99 pound (e due penny) per acquistare 100 euro. «Come se le due
monete», s’arrabbia, «fossero alla pari». Già: la parità. Una
prospettiva deludente, quasi umiliante, per chi pensava che la scelta di
Brexit avrebbe restituito alla Gran Bretagna il ruolo di potenza ricca e
sovrana a cui la burocratica Unione Europea le impediva di tornare.
Il
senso di amara sorpresa cresce, per i sudditi di Sua Maestà, più ci si
allontana dal centro e ci si avvicina per così dire all’Europa. Il
massimo dell’indignazione si raggiunge in uno dei sei aeroporti della
capitale, Gatwick, al cui interno il cambiavalute Moneycorp è
addirittura sceso sotto la soglia dell’1 a 1, quotando il cambio della
sterlina con l’euro a 0,97: vale a dire che con 100 sterline si comprano
appena 97 euro. Stessa quotazione agli aeroporti di Luton e Southend.
Qualcuno dà la colpa ai cambiavalute. «È una vergognosa speculazione»,
accusa Martin Lewis, difensore dei consumatori britannici, che è andato
fin dentro le partenze di Gatwick per fotografare il tabellone del
cambio da scandalo, a suo giudizio, e racconta che per poco non ha preso
le botte. «Non mi meraviglio che mi abbiano gridato dietro che non è
permesso fotografare i chioschi di cambiavalute», afferma. «Questo
significa approfittare delle ansie del mercato». La foto, peraltro, l’ha
scattata lo stesso e l’ha messa su Twitter.
È
innegabile che i cambiavalute arrotondino, o ne approfittino: è il loro
mestiere. Praticano sempre un cambio più basso o più alto, a seconda se
vendono sterline o le acquistano, di quello ufficiale. Ed era già
successo, nei tre mesi e mezzo dopo il referendum sull’Unione Europea,
che la sterlina venisse scambiata a meno della parità dai cambiavalute
londinesi: in luglio qualcuno la dava a 0,99 euro.
Adesso,
però, è scesa ancora più giù. Dopo il flash crash della settimana
scorsa, in cui con il concorso di un algoritmo impazzito o di un errore
umano a un certo punto ha perso il 6 per cento del valore in due minuti,
la possibilità che il declino continui fino ad assestarsi sulla parità
con l’euro, non sui tabelloni dei cambiavalute ma al cambio ufficiale,
appare sempre più verosimile. È l’effetto dei timori sui danni che
Brexit causerà all’economia britannica, spiegano gli analisti della
City, anzi dei danni che causerà l’hard Brexit, l’uscita totale, da
Unione Europea e mercato comune, che sembra la strada imboccata da
Theresa May, sacrificando i liberi commerci pur di fermare la libertà di
immigrare nel Regno Unito.
Del resto non
sono soltanto i cambiavalute a speculare sul declino della moneta con
l’effigie della Regina Elisabetta: il Times rivela che hedge fund e
investitori hanno aumentato l’acquisto di contratti che “scommettono”
sul crollo della sterlina. Ce ne sono stati 97 mila nei sette giorni
prima del 4 ottobre, diecimila più della settimana precedente, e non
c’era ancora stato il flash crash, il crollo in due minuti. È
un’attività da avvoltoi o da indovini, come ha illustrato “The Big
short”, il film sugli speculatori che scommettevano sul crollo dei mutui
troppo facili prima del grande crash 2007-2008. Ma parte sempre da un
problema reale.
Ora il problema è uscito
dalle stanze di broker e banchieri per approdare sulle “high street”,
come si chiamano in inglese le strade più centrali e affollate delle
città. Cioè tra la gente. Al Currency Exchange dietro la stazione
Vittoria: 1,09 sterline per un euro. Al Post Office poco più in là:
1,066 sterline per un euro. Nel cambiavalute dentro i grandi magazzini
Mark Spencer: 1,064. In pratica, la parità, una sterlina per un euro.
«Ragazzi, venire a Londra è diventato quasi conveniente », commenta
Franco, impiegato milanese, appena sbarcato con la moglie all’aeroporto
di Gatwick. Per italiani e altri continentali, è una manna. Ma per gli
inglesi è un sberla. Con la monarchia e la Bbc, la sterlina è una delle
istituzioni nazionali. Il fatto che abbia perso il 19 per cento del
valore da gennaio, e quasi il 15 per cento dal referendum, suscita
un’ondata di incredula frustrazione. È vero che, come notano gli
economisti, ciò ha contribuito ad aumentare le esportazioni, far
crescere la Borsa e nel lungo termine potrà servire a rimettere tutto a
posto. Ma nel lungo termine, ammoniva John Maynard Keynes, «saremo tutti
morti». È il breve termine che conta, viceversa, per la classe medio
bassa in partenza per l’Europa sui voli low cost: di colpo si trova con
meno soldi in tasca per la piccola vacanza alle Canarie, in Grecia, in
Italia. E con un dubbio in testa: sarà stato davvero un buon affare, per
l’inglese medio, l’inglese scontento, l’inglese colpito dal disagio
sociale, votare per Brexit?