Repubblica 11.10.16
Messaggi da Ankara
di Massimo Riva
CON
la consumata malizia di chi già fiuta una trattativa lucrosa, il
governo turco ha mandato all’Unione europea un avviso che fa temere il
rischio di una nuova trappola estorsiva in termini sia politici sia
economici. Attenzione, mandano a dire da Ankara, la situazione in Siria
sta precipitando: se cade Aleppo, aspettatevi un altro milione di
profughi alle porte. A prima vista, il messaggio sembra avere perfino
toni di amichevole sollecitudine a prendere atto di una minaccia
incombente. Ma chi lo legga alla luce dei precedenti negoziati con
Erdogan in tema di migranti non fa davvero fatica a scorgervi anche il
rovescio della medaglia. Ovvero il trasparente tentativo da parte turca
di mettere le mani avanti per alzare il prezzo degli squallidi accordi
già sottoscritti e con i quali l’Europa — grazie all’iniziativa di
Angela Merkel — ha posto la sua politica e la sua stessa identità alla
mercé dei ricatti del volubile satrapo anatolico.
La
provocazione turca fa così emergere, una volta di più, la gracilità del
ruolo dell’Unione sul terreno decisivo della politica internazionale.
Che nel caso specifico della Siria si sarebbe tentati addirittura di
definire inconsistenza. Sia a Bruxelles sia nelle cancellerie più
importanti ci si è dati molto da fare per quanto concerne l’ondata di
profughi innescata da quel sanguinoso conflitto sebbene con i desolanti
risultati che sappiamo. Ma per quanto riguarda i nodi cruciali di quella
guerra — che è poi la fonte stessa delle invasioni migratorie —
l’Unione europea si è distinta solo per i suoi rituali appelli al
cessate al fuoco secondo la collaudata liturgia del teniamoci alla larga
e salviamo la faccia con un po’ di sagge parole. Quanto a iniziative
politiche di sostanza: zero virgola zero.
Fino
a quando nessuno aveva il coraggio di chiamare le cose con il loro
nome, ci si poteva forse barcamenare così. Ora, però, che da più parti
si leva contro il regime di Assad e il suo alleato russo l’accusa di
compiere ad Aleppo efferati “crimini di guerra” non è che l’Europa possa
continuare a voltarsi da un’altra parte. Il mattatoio di Aleppo ricorda
fin troppo da vicino le stragi compiute durante le guerre nella
ex-Jugoslavia. E così ricompare lo spettro di un’Europa pavida e
irresoluta che replica nella tragedia siriana lo stesso spettacolo di
rimozione della realtà come ai tempi, non poi così lontani, dei massacri
di Srebenica piuttosto che di Sarajevo. Con l’aggravante oggi di non
trovare nemmeno la forza di rispondere all’ostentata aggressività del
nuovo zar di Mosca con qualche più efficace misura di embargo economico
come si è fatto dopo lo scontro sui confini dell’Ucraina.
Frenano
l’Unione troppi interessi di piccolo cabotaggio bottegaio, per giunta
declinati da ciascun paese in chiave strettamente nazionale. Ma
soprattutto a impedirne un ruolo strategico è la miope scelta dei suoi
più influenti governi di continuare a blandire l’irrazionale desiderio
dei propri elettorati di non fare i conti con le tragiche e dolenti
realtà del mondo presente. Così rendendo di sempre più amara e
sgradevole attualità per questa Europa lo sprezzante giudizio di
Napoleone sull’impero asburgico: “Toujours en rétard, d’un’armée,
d’un’année, d’un’idée”.